16 Aprile 2013: conservando nelle eliche immortali del DNA delle mie cellule i geni degli antichi fondatori di Augusta Taurinorum tramandati da generazioni di piemontesi doc, confesso che ho appoggiato i piedi sul suolo beneventano (Campania) con un’apertura mentale pari alla bocca di qualcuno che s’è ingoiato un limone. Devo però dire a mia discolpa che sono bastati solo due giorni per darmi della prevenuta da sola. Due giorni di sole da spaccare le pietre, valigia alla mano e (dettagliuccio che resti tra noi) ascelle pezzate fino alle ginocchia.
Ho notato che quando vai al Sud le gambe ti si fanno di gelatina quando i giovinotti ti danno del voi e ti chiamano signorina. Be’, ti chiamano signorina anche le commesse di Calzedonia qui a Torino, ma sulla bocca dei beneventani sa proprio di … donna. Suona in un altro modo, più denso ed imbarazzante. Diventi stranamente consapevole che sei femmina e le figuracce s’accumulano come i calzini sporchi sotto il letto. Anche il sole sembra più caldo, e l’accento napoletano è musica. Musica pura: a Torino fa rabbia, certe volte, ma quando ci sei dentro ti ci metteresti a ballare sopra, con tutto il rispetto per i balèngo ed i sensa cugnisun dei miei corregionali. E poi il cibo: non c’è paragone, gli spaghetti vucciria del Cotton Club (un ristorantino del centro storico in cui ogni anfratto è ingombro di ciarpame che fa bella figura visto nell’insieme ma che nessuno metterebbe mai a casa propria) sono di un’altra galassia, e così sembrano lontane anni luce anche le “barzellette anti Alzheimer” del proprietario, un tipo che dopo aver letto un manifesto che recitava “Vieni a far il marinaio: girerai il mondo ed imparerai un mestiere” si è veramente imbarcato su una nave a quindici anni. Barzellette lunghissime e complicatissime sui carabinieri che per ricordarsele ci vuole veramente una memoria proverbiale, ma che fanno cappottare dal ridere, non c’è storia.
In effetti la redazione è volata sino a Benevento per assistere alla premiazione della decima edizione di “Fare il giornale nelle scuole”. L’Umbertimes ha vinto: venimmo, vedemmo, ritirammo il premio. Per la seconda volta, tra l’altro. Onore e gloria imperituri, un diploma (sul quale per sbaglio mi sono seduta e che mi ha guardata truce per tutto il resto del viaggio, se stai a guardare il capello) e la possibilità di dire la propria su come e quando si fa giornalismo oggi in Italia assieme a Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti (se avete presente la critica mossa da Grillo all’esistenza stessa dell’Ordine creato, secondo lui, per difendere la “casta dei giornalisti”, forse hai presente anche la sua risposta) e Carlo Maria Lo Savio, invitato Rai del TG2. Argomento di notevole interesse, se si pensa alle ottanta foto di parti del corpo di Sarah Scazzi che circolavano clandestinamente sul Web a dispetto della dignità di una vittima di un crimine atroce, alla curiosità morbosa e malata di fondo che anima lo scoop, alla ricerca invadente ed aggressiva del macabro per fare notizia, al “fare informazione” (per dirla con un eufemismo) che ricade puntualmente nella logica del guadagno. Il vero motore del mondo. D’altra parte, bisogna dirlo, i giornalisti – con le dovute eccezioni – fanno la fame: letteralmente. “Quattro o cinque euro ad articolo cartaceo” afferma il presidente dell’Ordine, “cinquanta centesimi se scrivono in Rete.”
Pensavate di diventare giornalisti, eh? Fate il neuroscienziato, ecco, mestiere a caso.
Iacopino, pertanto, insiste ripetutamente con palese amarezza sulla Carta di Treviso, documento deontologico con il quale l’Ordine dei Giornalisti stesso si è autolimitato in termini di tutela del minore e del rispetto della persona: “la credibilità dei giornalisti è appena un gradino al di sopra di quella dei politici” butta lì Iacopino accavallando le gambe, ma il rispetto deve andare a tutte le persone, anche a chi ammazza a coltellate la propria madre. “Il fatto è” ,interviene Lo Savio, “che il tempo stringe ed il giornalista deve decidere nel giro di pochi minuti, ed a volte sbaglia. Non possiamo pretendere che le scelte fatte al volo siano sempre razionali e ponderate. (…) Molte volte non c’è materialmente il tempo di verificare la notizia: il Web insegue i metodi tradizionali, i quali a loro volta inseguono i media. Ma si scriva, si pubblichi, si stampi!”
L’impressione finale è quella che Rosario inviti a una prudenza non troppo timida, ad una cautela piuttosto decisa e diretta, e Iacopino all’estrema trasparenza : persino quando un bambino d’una scuola elementare gli chiede candidamente se “i giornalisti dicono sempre la verità” risponde “tendenzialmente no.”
Male. Perché l’informazione non è gli spaghetti Vucciria, quelli buoni, mamma mia se sono buoni, ma senza i quali sopravvivi. No. L’informazione è acqua potabile.
Sara Schiara (4B)