Venerdì 21 ottobre, la nostra scuola ha avuto un ospite davvero speciale. Uno dei campioni del mondo di Spagna ’82; uno dei calciatori che, con i suoi gol e il suo storico modo di esultare, ha scritto una delle pagine più importanti della nostra storia calcistica. Alle 10 in punto, Marco Tardelli ha varcato il portone dell’Umberto I ed è stato accolto dal Rettore. Noi dell’UmberTimes non potevamo certo farci scappare l’occasione di un’intervista esclusiva … prima del bagno di folla in Aula Magna, per parlare del libro Tutto o niente – La mia storia, scritto con sua figlia Sara.
Come ha gestito i rapporti con la sua famiglia, dal momento che a causa della sua carriera è stato costretto a girare il mondo?
Ho cercato di star loro molto vicino telefonicamente, ero spesso via. E poi ho avuto la fortuna di avere una moglie molto brava, soprattuto nel gestire nostra figlia. Quindi non ho avuto grossi problemi.
Per quanto riguarda i rapporti con la stampa invece?
Non avevo un grande rapporto con la stampa. Non l’ho mai avuto. Mi dà fastidio veder scritte cose inesatte sul mio conto. Ci sono sempre state grosse discussioni, ma li ho sempre stimati molto, nonostante non potessi fare a meno di litigare .
A proposito di discussioni con i giornalisti, cosa è successo nei mondiali dell’82, quando avete rotto completamente i rapporti con la stampa? (Per questa domanda un ringraziamento speciale a Myrta Merlino)
Noi avevamo un giorno libero durante la settimana, che usavamo per andare in giro per Madrid o Barcellona, ovunque fossimo insomma. Eravamo riusciti a superare il primo turno, ma con grande fatica. Allora quando i giornalisti ci videro in giro con le varie mogli (io no, perché mia moglie non era venuta con me quella volta) a fare shopping o a divertirci, qualcuno di loro iniziò ad offenderci e a criticare il nostro comportamento sui giornali. Perciò decidemmo di entrare in silenzio. Silenzio stampa che durò fino alla fine del mondiale. Ci portò anche fortuna, a dire la verità! E inoltre ci toglieva il problema di parlare con i giornalisti ogni giorno…era Zoff a parlare. È stata una bella esperienza anche per loro, hanno venduto di più, nonostante il silenzio stampa. Un po’ come a dire che noi non contiamo niente sui giornali!
E’ stato il rapporto stretto con la sua famiglia a spingerla a scrivere il libro insieme a sua figlia?
No, ho scelto di scriverlo con mia figlia perché mi piaceva fare questa esperienza con lei. Era anche un modo per stare più vicini. Ed è stata un’esperienza abbastanza difficile, lei cerca sempre di trovare, raccontare tutto quello che vede. E purtroppo ha raccontato anche troppo!
Cosa pensa del calcio al giorno d’oggi? Trova un peggioramento rispetto al calcio degli anni 80 rispetto a quello di oggi?
Rispetto al mio calcio sì. Io credo che oggi ci sia un calcio di business, è solo spettacolo. Poi quando si è sul campo naturalmente è calcio vero, però sono cambiati gli interpreti. Perché noi eravamo – questo non vuol dire che io sia razzista – solo italiani, mentre adesso in campo non riescono quasi a parlarsi. Inoltre prima eravamo gestiti da soli, ora ci sono gli agenti. Eravamo un calcio con un pochino più d’anima, un calcio che si viveva anche nello spogliatoio, nelle case dei compagni. E’ qualcosa difficile da ricreare oggi.
Come evolvono gli obiettivi e le ambizioni durante la carriera da calciatore? Si matura in qualcosa? Cambia il bisogno di “sentirsi il numero uno”?
Io non ho mai cercato di essere il numero uno, ho sempre cercato di vincere. Questa era la cosa importante, mi piaceva. Per me il calcio era una ribalta, su quello che non avevo avuto, sulla fisicità che non avevo all’inizio, e di conseguenza ho sempre cercato di lottare per vincere. E mi è riuscito abbastanza bene direi!
Il suo libro parla anche di questo? Lottare per vincere?
Beh, sei hai una passione devi seguirla. Devi fare di tutto per cercare di realizzarla. Io sono stato fortunato, non è sempre facile. A volte si trovano degli ostacoli che impediscono di fare ciò che si vuole, ma se lo si fa con grande determinazione e passione credo che si possa riuscire. E se non dovessi farcela, esci a testa alta lo stesso, sempre.
Cosa ha influenzato la sua decisione di schierarsi ed entrare in politica?
Io non mi sono quasi mai schierato, a dire il vero. Sono di sinistra, lo sono sempre stato. Vengo da una famiglia di operai, ed era abbastanza logico andare sulla sinistra. Anche se mio padre non era di sinistra, ma ho avuto fratelli..e una lotta politica continua spostata verso la sinistra che ho seguito anche io. In ogni caso, io sono per la politica che riesce a fare qualcosa, che sia di destra, di sinistra o di centro, non mi interessa. Mi piacerebbe che facesse qualcosa per gli italiani.
Cosa pensa invece della politica odierna rispetto a quella di quando lei era nel calcio?
Non potete farmi questa domanda davanti al senatore Esposito! Diciamo che c’è un po’ di confusione.
A proposito dell’intervista rilasciata sul quotidiano “Libero”, nella quale sembra quasi criticare l’urlo che lo ha reso famoso?
No, no, non l’ho criticato. Diciamo che dopo l’urlo sembrava che avessi fatto solo quello! L’ho odiato un secondo. Poi è una cosa che mi è rimasta, fortunatamente è rimasta.
Sempre a proposito del suo urlo. Si era accorto della telecamera davanti a lei?
Assolutamente si, l’avevo provato tre volte! No, scherzo. Non mi ero reso conto di nulla. Infatti se si guarda bene la mia faccia si capisce che non mi sto rendendo conto di niente in quel momento.
Trova che il tifo sia cambiato? Prima non c’era la paura di andare allo stadio?
Il tifo delle curve non è cambiato tanto. Certo, prima c’era qualcuno che portava i bambini allo stadio, ora meno. Poi già alcun anni fa erano successe cose parecchio pesanti, come la tragedia di Paparelli a Roma. Il razzo che da una curva all’altra che aveva ammazzato un tifoso laziale. Sono capitate tante volte queste cose, ma diciamo che prima si andava con un pochino più di tranquillità… Bisognerebbe fare qualcosa per questo calcio.
Lei ha giocato per molto tempo nella Juventus. Che cosa pensa del cambiamento che c’è stato tra quando lei giocava e come giocano adesso i giocatori attuali della squadra?
Sul campo non è che cambi molto, sono cambiate più le metodologie del calcio. Come l’alimentazione, gli allenamenti, anche i medici. Per non parlare della struttura fisica dei giocatori. Insomma, è cambiato tutto, ma quando poi sei lì sul campo non è cambiato nulla. E’ cambiato il contorno, ad esempio i media che ora sono totalmente diversi. Noi con i giornalisti avevamo un grande rapporto, potevamo parlarci sempre, stavano a un metro dallo spogliatoio. Ma perché ci incontravamo tutti i giorni, li conoscevamo, ci salutavamo. Adesso tutto questo non c’è più, ed è diventato tutto molto più difficile. E’ per questo che la cosa che dico di apprezzare di più del calcio è l’anima.
a cura dei nostri inviati Francesco Fronte (2L), Fabio Cannizzo (2L), Isabella Scotti (2L), Nicole Lomuscio (2G), Emma Barraco (4B)