Sopra un mondo affaccendato e stanco, si trovò uno strano bambino.
La stranezza del pargolo era che ad ogni ruzzolone, ogni qualvolta si faceva male o era triste,
al posto di pianti e moccioloni tirava su una gran risata.
Nessun parente, dottore né insegnante riusciva a capire quel bizzarro fenomeno contrario.
Pertanto, non sapendo come curarlo, decisero di non curarsene.
Lasciata in balìa del tempo, la deformazione incoerente crebbe col bimbo. Il bimbo divenne individuo e passò poi da uomo a vecchio, col galoppare delle decadi. Per tutta la sua vita conservò la medesima stramba abitudine; sino al letto di morte, un giovedì di maggio troppo buio per quella stagione.
Col suo ultimo sorriso, chiese a tutti se, al posto di visi in tragedia e neri da lutto, avrebbero potuto invece sforzarsi di sputare una risata in faccia alla lapide, quando ne fosse giunto il momento.
Per aiutare gli afflitti, fece preparare una foto speciale da incorniciare sopra l’epitaffio.
Al funerale era presente una gran folla di gente. La capacità di quel bimbo fatto uomo di sparare sorrisi ben assestati risultò più efficace di qualunque potere bellico.
La sua ultima richiesta venne, a malincuore, rispettata. Tutti erano pronti a sforzarsi.
Il drappo nero sulla foto venne fatto scivolare via, rivelando un mezzobusto del defunto.
Da due buchi ritagliati della camicia hawaiana, i capezzoli s’affacciavano, molestati da decine di pinzette.
La cravatta gialla stava di sbieco, inamidata. La cravatta stessa portava un papillon blu.
Lo sfondo apparteneva alle fantasie più sfrenate.
Il defunto portava uno sguardo irriverente appoggiato in equilibrio sopra la montatura di un paio d’occhiali alla ray charles. Dalla bocca ghignante pendeva un salame stagionato.
Ma il vero catalizzatore dello sconvolgente evento planetario che esplose di lì a poco, fu il culo anonimo poggiatogli regalmente in testa.
Una volta sguinzagliata, l’ilarità non trovò più freni.
Non ci si riusciva a fermare, lo stomaco tremava, il fiato mancava, gli occhi piangevano.
Ma ridere è rigenerazione, e dopo un po’ ci si abitua.
L’allegra risata si diffuse rapidamente ai paesini limitrofi e da lì alle grandi metropoli, saltando di continente in continente.
Infettò ogni piccolo remoto orifizio del mondo.
E tutto si fermò.
Lavoro, produzione, traffico, proteste, carriere, programmi tv, eserciti.
Tutto si fermò.
E quel piccolo mondo giace così, da allora.
Ancora immerso in quell’attimo di felicità insensata, senza avere bisogno né forza di cercare risposte.
Guido Bertorelli