Amore, casa, gatto, blu, mare, nuvola, paese, calcio. Solo parole, un elenco di parole senza senso nell’insieme, ma piene di significato se prese singolarmente. “Casa”, per esempio, indica generalmente un edificio abitato, rievoca l’immagine della propria casa con i panni stesi sul balcone ed esprime il sentimento di amore presente sui visi famigliari dei propri genitori.
Che ce ne rendiamo conto o meno, perciò, ogni parola ha una storia, un significato profondo, ed è preziosa come una gemma unica nella sua forma, diversa da ogni altra. Bisogna quindi prestare molta attenzione quando si costruisce un discorso ad incastonare la pietra della giusta misura nel contorno vuoto della stessa forma, se non si vuole rischiare di alterarne il senso. Ma fermatevi a pensare un secondo alle parole sprecate, a quelle non dette, a quelle sussurrate troppo piano e a quelle urlate più forte di altre. Ciascuna di quelle parole portava con sé un sentimento, trasmetteva emozioni, che noi abbiamo a malapena sentito. Nel ruolo dell’interlocutore non abbiamo domandato cosa c’entrasse nel discorso quella frase o cosa stava per dire quella bocca che per un attimo si era socchiusa, non abbiamo chiesto di ripetere quel bisbiglio né abbiamo di rimando urlato sull’altro più forte. Abbiamo solo sentito quelle parole e nulla di più, siamo andati oltre senza farle nostre, perché in fondo siamo insensibilmente sordi quando usiamo soltanto i nostri orecchi.
In realtà ogni parola è una nota da ascoltare, un gusto da assaporare, un profumo da inspirare, un’immagine da ammirare e una sensazione da provare sulla pelle. Ciascun termine è uno stimolo per i cinque sensi, ma spesso non ci si presta attenzione. La verità è che oggigiorno le parole sono sottovalutate: il mondo della tecnologia e dei mass-media non lascia loro spazio. I figli del nuovo millennio crescono costantemente impegnati e irrimediabilmente pragmatici, vanno di fretta e trovano limitativo l’uso dei soli vocaboli. Essi hanno a disposizione immagini, video e colonne sonore di più immediato impatto sull’interlocutore di semplici frasi, due paragrafi o una poesia. Se una volta le parole ferivano addirittura “più della spada” (come dice il proverbio), probabilmente oggi sono le foto su Facebook dell’ex fidanzato o la mancanza di emoticon negli sms di una persona cara a straziarci.
Eppure siamo profondamente legati alle parole, molto più di quanto pensiamo, anche se possiamo rendercene conto solo una volta che ne veniamo privati. Ecco che in questo modo, quando sei un exchange student e sei costretto a fermarti, a tacere più spesso del solito e a cercare di capire i discorsi attorno a te prestando più attenzione, inizi a sentire la mancanza di qualcosa di fittizio, tra quella della mamma e del migliore amico, senza riuscire a definire esattamente cosa sia. È quel vuoto interiore che provi quando cerchi un vocabolo italiano sofisticato sul traduttore online e ti appare come risposta un termine di uso comune, che ha molti altri significati. Vorresti poter evitare di usarla proprio perché a te serve dare un preciso senso alla tua frase, ma se nella tua lingua madre hai cinque opzioni, in inglese ottieni sempre la stessa parola. Non poterti esprimere nel modo migliore non ti soddisfa e t’infastidisce, tuttavia nulla è peggio di quando non hai parole per esternare i tuoi sentimenti. In inglese “I love” significa”io amo”, ma se hai bisogno di “adoro” o “voglio bene” puoi usarlo comunque in quanto entrambe le espressioni sono sfumature del verbo “amare”. Eppure non è lo stesso, ogni sfumatura che non puoi tracciare è un sospiro e senza di essa il tuo disegno ti sembra incompleto. Come è difficile adesso rimproverarsi per tutte quelle volte in cui in classe sei stato grato che l’inglese fosse così semplice, così lineare; hai criticato la tua lingua per essere assurdamente complicata e perchè possiede un così illimitato numero di parole, molte delle quali con un significato simile. Te ne penti solo adesso che hai capito che in quelle parole ci sei nato e cresciuto e che non potrai mai fare a meno di descrivere la realtà per quello che è, usando tutti i termini che conosci, esprimendo ogni singola sensazione, senza tralasciare il minimo particolare. Hai bisogno di essere eloquente e di dare un preciso senso alle tue parole, lo accetti e decidi che non sei fatto per rinunciare alle sfumature, che non è un difetto vedere il mondo come un quadro di Monet invece che uno di Courbet, perché nulla è come sembra, ogni animo ha un’interpretazione diversa da esporre. Allora l’unica soluzione che ti rimane all’apatia della nuova lingua è rifugiarti nell’unico libro che ti sei portato da casa e nei versi senza tempo di Battisti e Baglioni. Per la prima volta non canti sulla traccia ma ti soffermi sulle parole e ti sembrano poesia: come in ogni composizione il loro ordine è impeccabile e non potrebbe essere diverso, ciascun termine è unico e insostituibile per preservarne il significato: la musicalità dei suoni natii è come un abbraccio che ti avvolge completamente. Ti viene l’idea di cominciare a tenere un diario, dove riportare gli irripetibili momenti che stai vivendo in questa speciale esperienza, e, sebbene non sia la decisione migliore scriverlo in italiano mentre il tuo inglese è ancora acerbo e imperfetto, non puoi farne a meno, sai che solo in questo modo avrai l’opportunità di esprimere ciò che stai passando, di descrivere le tue sensazioni. Eppure, nonostante tu conosca da diciassette anni la tua lingua, la biro si blocca sulla pagina a metà riga perché non ricordi una parola, ti fermi un attimo a pensare, posi la biro e ci rifletti meglio … Nulla. Dalla memoria non emerge nessuna traccia e per quanto nel profondo ti dispiaccia, non puoi che sorridere di fronte all’incredibile capacità di adattamento che stai dimostrando e in qualche modo ti senti fiero, stai diventando parte del tuo nuovo mondo.
È un sentimento strano la nostalgia, riesce a farti sentire la mancanza anche delle cose di cui prima ignoravi l’esistenza. Forse non è l’assenza delle parole italiane a straziarti, forse è la mancanza delle persone con cui prima usavi quelle parole quella che senti. Ti manca avere una conversazione con un interlocutore che possa capirti, che voglia capirti, che ti dia il tempo di spiegarti, che ti risponda a tono, che sappia di cosa parli e che ti ascolti fino alla fine. Ma, soprattutto, ti manca parlare con una persona che ti conosca davvero.
Melania Yaya Dho (4B)