Parlare di amicizia vera mi fa sentire un po’ come se fossi di nuovo la bimba di quinta elementare con gli occhi bassi che parlava solo se necessario e diceva che lei e la sua bff non si sarebbero perse di vista, anche se avrebbero frequentato due scuole medie diverse. E forse tra altri sette anni penserò le stesse cose. Ma, dato che ho sette anni pieni per cambiare idea su questa relazione..
Sono certa di dovere gran parte della mia felicità, qui in California, ad una persona. È ironico come una persona che neanche appartiene a questo posto, possa farmi sentire così a casa.
Ricordo il primo giorno, quando il ragazzo allampanato con i capelli scuri mi è venuto incontro presentandosi come l’exchange student dal Brasile. Aveva un sorriso enorme e forse quello, o gli occhi luminosi, o l’eccitazione nei suoi gesti, mi ha spinto a prenderlo subito in simpatia; molto più di tutte le persone incontrate quel giorno (spropositamente tante).
Ricordo il secondo giorno quando, prima dell’inizio della lezione di inglese, mi ha vista seduta a lato della classe ed è passato davanti a tutti con la sua camminata saltellata per sedersi vicino a me, in un posto che da allora è stato solo suo.
Ricordo il giorno in cui c’era una partita di football e abbiamo passato il tempo a parlare con le teste vicine per sentire le nostre voci sopra la folla esultante, senza guardare neanche un pezzo di partita.
Ricordo il giorno in cui si è scusato per il ritardo che gli aveva impedito di passare i minuti prima della lezione a parlare con me.
Ricordo il giorno in cui, per la prima volta, il suo sorriso spontaneo ne ha immediatamente aperto uno sul mio viso. In maniera incontrollata. La sua felicità stimola la mia.
Ricordo il giorno in cui mi ha invitato ad andare a San Francisco perché voleva che vedessi quella città per la prima volta con lui.
Ricordo il giorno in cui finalmente mi sono aperta, raccontando dei problemi con la mia famiglia ospitante e ho deciso di affidare i miei pensieri a lui.
Ricordo il giorno in cui mi ha detto di essere omosessuale.
Ricordo il giorno in cui siamo andati a “fare un’escursione” e siamo finiti a parlare per tutto il pomeriggio sdraiati sull’erba mentre il sole scendeva troppo veloce.
Ricordo il giorno in cui solo guardandomi in faccia ha capito che qualcosa non andava e ricordo il giorno in cui ha iniziato a capire le motivazioni senza neanche chiedere.
Ricordo il giorno che abbiamo festeggiato il suo compleanno e ricordo le sue scuse infinitamente lunghe quando non è riuscito a passare il mio con me.
Ricordo il giorno in cui mi ha guardata dritto negli occhi e mi ha detto che non sa che fare nel futuro, che ha paura, che ci sono troppe strade, troppo confuse.
Ricordo il giorno in cui mi ha fatto leggere la sua prima canzone. Ricordo gli occhi accesi di entusiasmo e ricordo tutta la musica e le storie brevi che hanno seguito quella prima canzone.
Ricordo il giorno in cui ha affermato convinto che sarebbe venuto a trovarmi. Non sapeva quando, né con quali soldi, ma era così convinto che io non ho mai dubitato che sarebbe successo.
Ricordo il giorno in cui mi ha preso per mano sentendo che stavo per crollare e me l’ha stretta forte nella sua.
Ricordo il giorno in cui il professore di inglese ci ha lanciato un’occhiata ammonitrice ma giocosa perché ormai aveva rinunciato ad ottenere il nostro silenzio totale durante la sua ora.
Ricordo il giorno in cui ho visto i suoi occhi illuminarsi di fronte al mio regalo di Natale. Ricordo come la vista di quei semplici auricolari con i colori del Brasile gli ha aperto il sorriso che tanto mi piace sul suo viso.
Ricordo il giorno in cui abbiamo iniziato a cercare modi per accedere al Financial Aid per poter andare al college a San Francisco.
Ricordo il giorno in cui abbiamo riso talmente tanto e talmente a lungo che pensavo di poter morire. Ricordo di aver pensato che i polmoni avessero lasciato il petto.
Ricordo il giorno in cui si è infuriato così tanto perché non mi lasciavano cambiare famiglia, che pensavo avrebbe davvero fatto male a qualcuno.
Ricordo il giorno in cui mi ha portato dai suoi genitori ospitanti presentandomi come la sua migliore amica.
Ricordo un sacco di giorni, di piccole attenzioni, di squarci di gioia, di sogni condivisi, di sorrisi contagiosi, di sussurri concitati, di giudizi affrettati e di cambi di idea. Ho avuto il privilegio di condividere un esperienza unica con una persona unica.
Jon Krakauer dice “happiness only when shared”. Mai stata più d’accordo.
Giulia Orifalco (4B) – corrispondente dagli Stati Uniti