Tutto comincia in una mattina di novembre, quando nel bel mezzo della lezione il professore di spagnolo ci dà la notizia: gli studenti di un liceo della città di Córdoba sono disposti ad ospitarci per uno scambio. Non sappiamo nient’altro, ma siamo molto contenti: da quel momento è un continuo affollarsi di pensieri volti a quei ventisette ragazzi. Tempo di sbrigare alcune formalità con il Rettore, l’idea si concretizza e a metà gennaio siamo già pronti: loro vorrebbero vederci il prima possibile e, come all’esaudirsi del desiderio, il mese successivo giunge in un batter d’occhio, tra un preparativo e l’altro, tanti compiti e impegni vari.
E’ il 27 febbraio, a Torino splende un caldo sole e noi siamo tutti riuniti in Piazza Arbarello: aspettiamo il pullman che ci porterà all’aeroporto. Ventisette sorrisi italiani accompagnati dal prof. Hernández e Vito, l’educatore di classe, danno il via al loro primo scambio interculturale con destinazione sud della Spagna.
Avevamo già avuto modo di entrare in contatto l’uno con l’altro, grazie a Internet e ai suoi Social Networks, tuttavia non smettevamo di chiederci come sarebbe stato incontrare i nostri corrispondenti di persona, vedere la loro casa o trascorrere il tempo insieme alle famiglie. Da quanto sapevamo a riguardo, avevamo capito che si trattava di un gruppo di diciassettenni allegri, spensierati e pieni di voglia di divertirsi: facevano proprio al caso nostro. Ma certamente non immaginavamo che avremmo vissuto quella che a parere di tutti è stata fino ad ora l’esperienza più emozionante.
Arriviamo in quel di Córdoba circa a mezzanotte, dal momento che abbiamo dovuto atterrare all’aeroporto di Málaga, quando la meta prevista era Granada, a causa di forti turbolenze; ma i ragazzi sono lì ad aspettarci e con loro ci sono i genitori: non impieghiamo molto a riconoscerci, ci salutiamo calorosamente e ci presentiamo. Un attimo dopo aver sistemato i bagagli nelle nuove case siamo già pronti ad uscire per trovarci nella piazza principale della città: è incredibile notare quanta allegria sia concentrata in circa cinque metri quadrati di Spagna! Chi si abbraccia, si scambia sorrisi, ride, scherza, canta o chiacchiera con il proprio corrispondente o con quelli di altri, anche senza conoscerne il nome. Ma le due arrivano abbastanza in fretta e che lo vogliamo o no siamo tutti davvero stanchi e decidiamo di tornare a casa.
Nei due giorni che seguono, domenica 28 e lunedì 29 febbraio rimaniamo in compagnia delle famiglie: non ci sono escursioni programmate, poiché si celebrano i giorni dell’Andalucía, una festa nazionale in onore delle tradizioni di questa regione spagnola. Secondo l’opinione di tutti sono i migliori: questa festa è sinonimo di divertimento, tanto più quando ad usufruirne sono ventisette cordobesi in compagnia di altrettanti italiani. Pur sotto la continua e stretta osservazione delle regole disciplinari dettate dal nostro grande capo–professore – guida lascio ai lettori l’immaginazione per quanto riguarda le notti trascorse nei locali più colorati e divertenti della città. L’unico problema è solo alzarsi dal letto giorno seguente, anche se da martedì la sveglia assume un tono ancora più autoritario: per i corrispondenti ricomincia la scuola, per noi inizia il periodo delle gite: Córdoba ci regala la sua bellissima antica moschea, culla della religione islamica e di quella cristiana, vicoletti caratteristici o cortili tipici; una magnifica cattedrale illuminata dal caldo sole, l’Alcazar de los Reyes, una Plaza de España con clima mite, riscaldata da raggi ormai timidi, è invece ciò che ci ha offerto Sevilla, insieme a un immancabile giro in pedalò lungo le acque del Guadalquivir, che attraversa la città. Una giornata stupenda in questo centro abitato, favoloso agli occhi dei turisti. In pochissimi giorni, trascorsi anche troppo velocemente, i nostri bagagli di cultura e di esperienze si sono ingigantiti: ora riusciamo a distinguere lo stile di un califfo da quello di un altro, siamo in grado di viaggiare per la città autonomamente prestando la giusta attenzione, conosciamo il tipico “desayuno molinero cordobés”, colazione caratteristica del posto a base di frullati, pane, olio e prosciutto (cosa che non può essere condannata a giudizi se non dopo averla provata!!!) e sappiamo contenere tutti i nostri impeti di ragazzi schizzinosi davanti ad un piatto di “delizioso” salmorejo preparato apposta per noi.
Ma il giorno della partenza arriva superbo e non possiamo (purtroppo) tirarci indietro. C’è già chi piange e una pioggia incessante non aiuta a tirarci su di morale. Foto, abbracci, baci, lacrime o risate, dediche e promesse riempiono una mezz’ora parecchio intensa; tuttavia in ognuno di noi c’è la certezza di rivederci prestissimo, a Torino. Saremo noi ad ospitarli, saremo noi ad occuparci di loro.
In questo modo comincia la seconda parte dello scambio con i nostri ragazzi: a differenza di noi hanno preferito viaggiare via terra per due giorni, facendo prima tappa a Gerona per passare la notte.
E’ il 19 marzo, sono circa le 19:30 e siamo di nuovo in Piazza Arbarello. Questa volta però aspettiamo loro, muniti di tensione, sorrisi e cartelloni. Se l’ “arrivederci” di undici giorni prima era stato davvero triste, al vederli scendere si assiste ad un’esplosione di gioia da parte di tutti, senza sapere esattamente che cosa ci aspetta!
Infatti non abbiamo ancora fatto i conti con il significato della frase “ospitare un corrispondente”. Programmi da una parte, uscite dall’altra hanno caratterizzato la nostra settimana, nella quale, tra l’altro, non siamo stati esonerati dagli impegni scolastici.
A parte farsi sempre più frequenti, quali “non lo/la sopporto più!”, “quando finisce la tortura?”, “di mattina riesce a passare quaranta minuti sotto la doccia”, “vuole sempre e solo uscire!” o “non mi lascia un minuto di pace!” il bilancio generale è molto buono; abbiamo legato ulteriormente, in qualsiasi momento, in casa, a scuola, in discoteca, nelle varie gite in giro per Torino ma anche in quella a Milano. Purtroppo il tempo non ci è stato sempre di aiuto ma ce la siamo cavata egregiamente.
Sicuramente da entrambi i gruppi si è sviluppato un grande senso di crescita e responsabilità, senza che ce ne accorgessimo, solo divertendoci e con questi anche la voglia di essere i “corrispondenti perfetti e maturi”: avevamo capito che i nostri spagnoli riuscivano a organizzare le loro e le nostre giornate conciliando allo stesso tempo scuola e divertimento alla perfezione e noi avremmo dovuto fare altrettanto, magari anche meglio.
Ci hanno lasciato una lettera in cui avevano raccolto tutte le esperienze e gli aneddoti più divertenti, accompagnata da un sottofondo strappalacrime, noi cartelloni e infinite dediche sulle bandiere italiane che avevano acquistato, loro ci hanno regalato stupendi pomeriggi alla sala del biliardo che dopo due giorni circa era diventata il nostro quartier generale o giornate intere in giro per la città nel pieno divertimento, da parte nostra abbiamo illustarto uno sprazzo della vita torinese di metà marzo.
Ma soprattutto non avevamo ben chiaro il concetto di “addio”. Niente di più triste: di nuovo pioggia, ancora lacrime. Tantissime. Ragazzi italiani e spagnoli che sembrano immuni da ogni tipo di emozione, piangevano forte. Poi il pullman si mette in moto: sono le otto e si va a scuola. Ma nessuno ha intenzione di frenare le lacrime. E’ inevitabile. Persino i professori se ne rendono conto e capendo che siamo anche stanchissimi evitano lezioni troppo pesanti.
Se non per la tristezza, la maggior parte della classe si avvia verso casa all’ora del pranzo per il sonno.
Lo scambio ci ha davvero segnati, fatto crescere e maturare, ma anche conoscere ventisette nuove fantastiche persone, alle quali, siamo sicuri, non abbiamo detto del tutto “addio”, ma solo “arrivederci”. Addirittura c’è chi è già in possesso di alcuni favolosi biglietti aerei con destinazione Córdoba programmata per la fine dell’anno scolastico.
Elena Reato (2B)