La cogestione 2019 ha lasciato molti studenti perplessi: poche attività e poco coinvolgimento. Abbiamo dunque intervistato una quarantina di studenti del liceo classico per sapere cosa ne pensassero. “Su una scala da uno a dieci quanto dai alla cogestione di quest’anno?”. Media dei voti: 3,8! “Se potessi tornare indietro, alla luce di com’è stata, sceglieresti nuovamente di partecipare?”. Risposta più frequente: No, starei a casa! Certo, 4- è proprio un votaccio! Una visione completa, però, è indispensabile per analizzare come si deve una situazione. Abbiamo quindi intervistato anche Giuseppe Spaccapietra, rappresentante del Classico, scoprendo con sorpresa che lui alla cogestione dà un bel 7 tondo tondo. Giuseppe ha partecipato alla cogestione in via Bligny; quando gli chiediamo se la cogestione sia riuscita meglio al classico o allo scientifico lui garantisce che il lavoro svolto è stato ottimo in entrambi i licei. Sostiene inoltre che la scelta delle attività per entrambe le sedi è stata fatta seguendo le inclinazioni e gli interessi degli studenti. Quindi, amici del classico, sappiate che a noi dell’orientamento universitario, del riscaldamento globale o dell’arte contemporanea non ce ne frega un bel niente! Noi preferiamo mille volte “Etimologia” e “Diritto romano”! E voi, amici dello scientifico, a quanto pare potevate tranquillamente saltare l’incontro con Fabio Geda! A sentire gli studenti la cogestione è stata un fallimento clamoroso, per i rappresentanti invece non sarebbe potuta andare meglio… Saranno gli studenti a giudicare troppo severamente i loro “rappresentanti” o sono questi ultimi ad aver vissuto questi due giorni in un mondo Altro? “Io di risposte non ne ho, mai avute mai ne avrò”, cantavano gli 883 nel 2002. L’unica cosa certa è che il clima di questa cogestione era sbagliato. Amaro.
Ma da dove nasce la cogestione e come dovrebbe essere? La cogestione è un’autogestione istituzionalizzata. Si iniziò a parlare di autogestione all’inizio degli anni ’70 proprio dopo il mitico ’68. L’idea nacque per garantire il diritto di parola agli studenti, che fino ad allora non erano stati considerati altro che ingranaggi di un sistema il cui fine ultimo era l’omologazione e l’apprendimento di sterili nozioni. È grazie a queste radici se noi, oggi, siamo liberi di esprimere il nostro pensiero e i nostri bisogni quando siamo a scuola; se le lezioni hanno smesso di essere un monologo dell’insegnante e se lo studente è parte attiva e non solo un vaso di riempire.
A cosa serve allora l’auto/cogestione oggi? A ricordare. Serve per tenere a mente che ciò che per noi è scontato è stato in realtà una conquista frutto della protesta. Che qualcuno si è battuto per cambiare le cose. E non è tutto. L’auto/cogestione, oggi, è la finestra sul mondo che ci circonda. È un invito ad informarsi di più. È l’allarme per ricordare a noi stessi, sempre più disinteressati al mondo che ci circonda, che il futuro è nostro. È un’occasione per conoscere realtà diverse. E si dovrebbe respirare un clima sereno, di collaborazione e di libertà, d’interesse e di partecipazione. E invece, almeno al classico, il clima è stato teso. Lo scontento degli studenti li ha portati a non seguire le conferenze. Professori e studenti più grandi facevano la ronda, “favorendo” la partecipazione alle attività. Se una cogestione viene vissuta come un’imposizione, come un giorno di scuola normale e forse anche peggio, è una cogestione fallita. Per i rappresentanti sarà anche stata un successone, ma quella più azzeccata sarebbe la mitica definizione fantozziana de La corazzata Potëmkin: una cagata pazzesca!
Alice Zanola