Nel Novecento nascono i telescopi spaziali, il polipropilene, i Bee Gees, gli hamburger e la società di massa.
Nel Novecento spariscono i baffoni da tricheco, i Carbonari, le gorgiere, i velocipedi ed i libri.
Del libro, certo, abbiamo la rilegatura, il risvolto di copertina, il selciato angoloso di lettere nere sul bianco acido della pagina. Apparentemente abbiamo il libro: ce l’abbiamo in camera sotto la coppa della bocciofila sulla mensola, ce l’ha persino Convitto in una fantomatica libreria che è un po’ come la Stanza Delle Necessità che però non appare magicamente nel momento in cui la tua vita dipende dal libro desiderato: semplicemente, ti arrangi.
Altro che sudate carte (un’immagine disgustosa, per dire la verità): qui si tratta di un libro alla Tom Hanks dopo che si salva dall’isola tutto barba e capelli e perizoma, al Gladiatore dopo che stramazza nella polvere del Colosseo, alla Di Caprio nella scena in cui sono tutti a mollo in mezzo agli iceberg insieme al Titanic. Cioè un libro arrivato alla frutta, sostanzialmente. Non sto parlando dei grandi trattati di metafisica: quelli finiscono con Hegel, e pace e amen. Intendo il libro maestro, amico, compagno di veglie. Machiavelli, dopo il grigiore abietto di una giornata sprecata a fare caciara nei pub ante litteram, si metteva l’abito buono e l’acqua di colonia dietro le orecchie, e poi, e solo poi, era degno di dedicarsi ai suoi libri.
Indovina indovinello, di che morte è morto il libro? Possibile che la cellulosa del libro, questa lunga catena polimerica di carboidrati sopravvissuta al fuoco della Chiesa, alle mani che in segreto l’hanno passata ad altre mani e ai sotterranei dei monasteri medievali si sia dissolta nel secolo in cui persino tutto si conserva, dai bastoncini Findus a Michael Jackson (probabilmente conservati nel freezer tutti e due)?
Oggi chi scrive sa che seguirà regole ben precise: quelle del mercato. Sa che dovrà sottostare ad una logica ferrea: quella del guadagno. Sa che dall’obiettivo finale non si scappa: produrre. Produrre uno, due, tre capitoli al mese, a seconda del contratto editoriale stipulato con chi pensa di diventare ricco con il tuo romanzo. Se parlassimo di scienziati e ricerca scientifica, sarebbe un altro discorso: raramente le grandi scoperte scientifiche sono avvenute per caso (a meno che qualcuno di geniale non si sia accorto della sostanziale ed affascinante anomalia del fenomeno senza tuttavia aver alcuna idea di che cosa si trattasse veramente). È statisticamente molto più probabile che esse siano il frutto di una ricerca mirata, coerente e razionale: ricerca finanziata da un privato, da una ditta, dallo stato. In cambio della fiducia offerta allo scienziato in termini di fondi e sostegno pecuniario, il privato, la ditta o lo stato guadagneranno qualcosa: il fenolo, il grafene, il nylon o qualcosa di simile da vendere sul mercato e far quadrare i conti.
È normale. È molto semplice. Giuste o sbagliate, sono le regole del gioco.
Il mercato editoriale deve entrare al giorno d’oggi nella stessa ottica: l’ottica della domanda e dell’offerta, in un contesto nel quale è ovviamente la prima a dettare le direttive. Il pubblico di massa vuole vampiri sberluccicanti, ed avrà i vampiri sberluccicanti. Vuole professori di simbologia di Harvard che sventano complotti millenari in giro per il mondo accompagnati ogni volta da un’affascinante fisica nucleare chimica astrofisica biologa molecolare diversa, e sia.
Ora, se paragonassimo la letteratura alla Nutella e la società di massa ad una fetta di Pan Mulino Bianco, vedremo che più la letteratura “si spalma” su un range di pane più esteso, più s’assottiglia. Se invece della letteratura ci spalmassimo sopra la scienza, ben venga: è meglio coprire più pane possibile, inglobando così il maggior numero di circuiti cerebrali e, quindi, idee.
Occhio, non parlo dell’informazione, del sapere, dell’essere svegli e coscienti su quanto accade intorno a noi: guai se tutto ciò non fosse democratico. Io parlo del libro in senso estetico, del piacere di leggere e scoprire quanto siamo idioti, quanto siamo straordinari, quanto siamo umani. La società di massa (in particolare le generazioni imberbi o quasi) è imbarazzata di fronte alla curiosità intellettuale: oggi la pigrizia mentale dilaga; il disagio per la solitudine creativa e riflessiva, stessa storia. Si pensa poco e si legge ancora meno.
Dove sono finiti i mostri sacri della letteratura? Coloro che non producono nulla se non il bello, il bello nel senso più completo e sanguigno del termine? Sono annegati spazzati via dissolti nel piattume delle esigenze “letterarie” della società di massa. Come si fa a commercializzare il bello presso la società di massa, presso i grandi numeri, con la stessa logica con cui si commercia l’utile? Non si può: ecco uno dei motivi perché le facoltà umanistiche si stanno svuotando ed i test delle facoltà scientifiche falcidiano gli studenti meno che eccezionali con la stessa pietà della ghigliottina dell’89. C’è soluzione? A voi la risposta.
Detto questo, si può vivere senza letteratura? Io credo di si. Ma non so cosa poi ingentilirà gli spiriti, cosa nutrirà l’umanità più vera e commovente in ognuno di noi, cosa pungerà la sensibilità anestetizzata del secolo duemila, cosa ci renderà ancora capaci di stupirci di fronte alla meraviglia, to stay hungry, to stay foolish.
Nel momento in cui il diritto al libro è diventato democratico, il libro è morto.
Sara Schiara (5B)