Solitamente si tende a pensare che nel contesto familiare ci si possa esprimere liberamente senza la paura di essere giudicati o addirittura puniti da persone che dovrebbero teoricamente amarti, per un pensiero o un’idea diversa dalla loro. E’ risaputo che un individuo inizia a formarsi proprio all’interno della famiglia, che è il suo primo canale d’insegnamento. Tramite l’educazione ricevuta, la persona, prova ad affermarsi all’interno di un sistema sociale e a migliorarne la forma per il benessere proprio e di chi verrà dopo di lui. Queste sono le condizioni normali, o forse soltanto quelle che ci hanno abituati a conoscere o nelle quali fortunatamente abbiamo vissuto.
Quando però questa “base” viene a mancare, cosa si fa?
Non è insolito sentir parlare di famiglie che decidono di adottare metodi “non convenzionali” per crescere i propri figli: solitamente questi però non creano un impatto negativo sulla persona o sull’ambiente in cui vivono; talvolta l’impatto è talmente leggero da risultare quasi impercettibile. Ci sono anche casi di gruppi “familiari” allargati, all’interno dei quali i legami fra gli adulti non sono formalizzati e tutti i bambini sono allevati insieme: un esempio è costituito da quei gruppi di persone che praticano il poli-amore.
Il culto dei bambini di dio è stato fondato nel 1968 a Huntigton Beach, in California, da un ex pastore protestante di nome David Brent Berg, noto ai suoi seguaci con appellativi quali Mosè David, re David, il profeta o anche papà. Nella setta, i membri di quella che veniva chiamata la “Famiglia” seguivano fedelmente le indicazioni di Berg. Non esisteva libertà di pensiero e la comunità viveva riunita in gruppi chiusi al mondo esterno. I figli degli adepti della setta diventavano vittime “di un sistema folle”. Gli adulti, definiti ‘guardiani’, non consentivano ai bambini di andare a scuola; dovevamo apprendere soltanto i testi del profeta. Tenuti a distanza dagli istituti educativi, i bambini apprendevano le basi di lettura e scrittura, oltre a un po’ di matematica. Erano sottoposti a molti esercizi fisici, si occupavano dei lavori domestici, ed erano isolati dal mondo al punto tale da non potere accedere alle cure mediche ordinarie.
Questo culto che inizialmente si presentò come un culto che si basava sul cristianesimo e su una libertà di espressione maggiore del movimento hippie, un movimento “deviante” che in quegli anni si trovava al culmine del suo sviluppo, ma che rivelò ben presto il suo lato oscuro. I valori che venivano inculcati nelle menti dei seguaci della setta erano imperniati sulla libertà sessuale tra adulti e minori: secondo Berg i bambini dovevano essere iniziati all’amore divino per volere di Gesù e questo doveva avvenire fin dalla più tenera età; la documentazione di cui oggi disponiamo spiega come questa iniziazione avvenisse il più delle volte tramite l’incesto, considerato dai fedeli della setta come un’azione del tutto naturale. Abbiamo notizie di queste pratiche anche grazie alle testimonianze di alcuni sopravvissuti, fra cui anche la figlia dello stesso profeta, Linda Berg, che dichiara di aver subito violenze da suo padre quando aveva poco più di sette anni. Orge e atti depravati erano svolti all’interno del gruppo in continuazione e i “fedeli” gli attribuivano il valore di un vero e proprio culto religioso. La setta si è ampliata nel corso degli anni attraverso le nuove nascite: l’uso di contraccettivi, infatti, era assolutamente vietato e questo ha portato alla nascita di una “generazione” di giovanissimi adepti che si è ritrovata a farne parte senza mai scoprire cosa significasse, invece, vivere nella società civile che veniva descritta dagli altri membri come “un mondo pericoloso”. Inoltre, se c’era la necessità di attirare nuovi membri, questa setta utilizzava la tecnica del cosiddetto “flirty fishing” (sesso promiscuo). La tecnica consisteva nell’attirare i malcapitati, per lo più uomini, attraverso la prostituzione dei membri del gruppo in locali chic e in discoteche, e quando questi rifiutavano di unirsi alla setta o di versare promiscue donazioni venivano ricattati per i loro atti deplorevoli.
L’organizzazione, per stare in piedi, aveva bisogno di molto denaro che non derivava solo da donazioni più o meno volontarie. Queste occupavano circa un 30% dei ricavi mentre il 70% era ricavato dalla prostituzione dei membri della setta, per lo più le donne e i bambini, che non si limitava al semplice “flirty fishing”. Oggi sono emersi alcuni filmati dove vengono mostrate le diverse modalità con le quali le bambine venivano “iniziate” al sesso e senza rendersene conto divenivano in poco tempo interesse dei più grandi. Tutti questi filmati erano conservati dallo stesso Berg, che si occupava anche della loro vendita a terzi. Sopravvissuti alla setta parlano degli esercizi che venivano imposti ai bambini, ad esempio i balli per le ragazze, nei quali, attraverso movimenti sensuali si toglievano poco a poco i vestiti fino a rimanere completamente nude davanti a un pubblico di adulti.
Questa triste storia ci sembra tanto assurda quanto lontana, pochi però sanno che la setta dei bambini di Dio è arrivata anche in Italia e ha la sua sede a Villafranca di Verona, in Veneto. L’attenzione mediatica è esplosa nel 2005, dopo la morte di Richy Rodriguez, figlio di David Berg e Karen Zerby o “Maria” la quale, dopo la morte del marito risulta ancora a capo dell’organizzazione che afferma di aver abbandonato le pratiche del passato e di aver adottato un nuovo modello organizzativo. Al punto di adottare il nome “Family International” al posto di “The children of God”, proprio per sottolineare un nuovo inizio. L’attenzione mediatica, tuttavia, è riesplosa nuovamente nel 2007, quando Julia Buhring, una ragazza cresciuta con le sorelle per ventitré anni all’interno dell’organizzazione storica, ha denunciato attraverso il suo libro “Not without my sisters” le pratiche attuate dalla setta e ha raccontato come questa abbia influenzato la sua vita.
Nonostante l’interesse dei media negli anni passati, ancora oggi quando si parla di Berg, molti non hanno la più pallida idea di chi sia stato e varrebbe invece la pena che di storie come questa non si perdesse la memoria. Perché, è vero che sovente si sorvola su eventi così terribili per non disturbare ulteriormente la tranquillità collettiva, ma è ancor più vero che non si può rischiare che fatti simili si ripetano in futuro.
Elena Vaudetti