Tutto ancora tace. Non un grido, non una voce, non un sospiro. L’atrio e le scale sono illuminate da una luce fioca, proveniente da due lampioni. Dalle finestre si scorgono nuvole purpuree, sbuffate dalla pancia del Sole, ancora colme di sogni e di ricordi di una notte tempestosa. I corridoi e le aule sono imbevuti in un silenzio profondo e solenne, come se fossero in attesa di una divina processione. Tutto tace.
Ma tutto a un tratto da lontano, quasi da un altro mondo, giunge timidamente l’eco di una nota distinta. Sarà stata l’immaginazione a ribellarsi contro tanta immobilità. Ma ne giunge un’altra, e un’altra ancora, e altre mille note. Si accavallano, si abbracciano, inondano come petali primaverili le nere sale, un attimo prima soffocate dal buio. Riportano colore alla mattina che fatica a svegliarsi, riportano vita alla scuola addormentata. Improvvisamente i pavimenti si ricoprono di rossi tappeti, le pareti di arazzi e di specchi maestosi; i pigri lampioni diventano ardenti candelabri fatti di cristalli che paiono vetri. Cos’è? Cos’è questa musica, questa splendida musica? Le note continuano a cadere come gocce di pioggia, in un frastuono, in un caos dolce ed ordinato. Mi trasportano, mi dirigono verso la loro magica fonte. Non mi oppongo, inebriato da una potenza così nuova, così inaspettata, così voluta. Apro le porte dell’Aula Magna e lo vedo: ricurvo sui tasti del pianoforte, su cui le dite scorrono soavi, come se stessero accarezzando la nuda schiena di una donna addormentata. Faccio di tutto per non far rumore: richiudo la porta con cautela, mi accomodo sulla sedia più distante. Assisto. Muto. Il silenzio è l’unico prezzo. Ma è impossibile parlare, impossibile pensare: gli stessi pensieri sono stati rapiti.
Tasto su tasto, viene sprigionata un’intensità che catapulta il Sole nel cielo, che scuote la natura assonnata. Una favola, sembra di stare in una favola, in un paese delle meraviglie sconfinato e sgargiante. E, come anche la miglior delle favole, finisce. Gli arazzi, i tappeti, i candelabri si dileguano per far spazio ai soliti colori. Mi avvicino a lui. Schiarisco la voce per farmi notare. Gli chiedo: “Dov’eri?”. Mi risponde pacato: “Non ero nel mondo. Non ero davanti a te. Mi ero perso nella mia testa, fra immagini e scene così lontane dalla realtà che mi prenderesti per pazzo”. “Perché?” “Perché quando suono sono in un sogno, sono colto da un folle amore, sono a parte da tutto. La musica è visione, passione e alienazione, tutte cose troppo lontane dal mondo reale.”
Suona la campanella. Nel tempo di uno sguardo lo ringrazio e piombo nuovamente nell’uggiosa realtà.
Brando Ceratto (5A)
P.S. Se volete perdervi anche voi, non dovete andare lontano … basta svegliarsi prima, salire le scale, aprire una porta socchiusa e sedervi nel posto più distante. Il silenzio è l’unico prezzo.
Grazie davvero al nostro compagno di scuola che vive questa favola… quasi tutte le mattine nella nostra assonnata … Aula Magna!