La foresta: luogo di paura e coraggio nelle tradizioni popolari

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Che cosa rappresenta per noi oggi la foresta? Di sicuro non un luogo spaventoso, ma piuttosto un luogo tranquillo dove passare un weekend con la famiglia o dove andare a funghi la mattina presto…

Nell’Alto Medioevo questa concezione era totalmente diversa. Le foreste erano molto più estese e l’uomo non aveva idea di cosa ci potesse essere là dentro: bestie feroci, streghe, covi di banditi… Non credo che a quei tempi qualche uomo si fosse mai avventurato da solo in una malattia soleggiata nella parte più lontana e folta del bosco sperando di trovare qualche porcino da cucinare la sera a cena…

Dobbiamo aspettare il Basso Medioevo perché l’uomo, con la sua mentalità più aperta, consideri questo luogo un po’ meno spaventoso.

Come in tutte le cose, però, se da una parte ci sono il timore reverenziali e la paura, dall’altra c’è il desiderio di scoperta, di curiosare, di affrontare il pericolo. Forse l’uomo si distingue dagli animali anche per questo; come “testimoniano” i primi poemi epici l’uomo ha sempre voluto in qualche modo superare i propri limiti.

Quindi immagino che in ogni villaggio ci fosse sempre qualcuno ansioso di esplorare le foreste, di tornare e raccontare le meraviglie che vi aveva visto.

Qui entra in gioco la fantasia: i boschi si popolano di creature magiche, di cavalli con un corno che spunta dalla fronte, lo scroscio del vento diventa il rumore dei passi di una strega che vive poco distante da lì, l’ombra lontana di una quercia diventa la casa dei banditi che avevano derubato il campo del signore feudale poco tempo prima… Queste teorie ovviamente trovano credito fra la popolazione, ed ecco che vengono scritti manuali sulle creature viventi dove compare anche il nostro unicorno, oppure vengono raccontate storie di streghe che portano bambini nella foresta e se li mangiano.

Gli scritti vengono conservati nei monasteri, le leggende di tradizione orale continuano a evolversi passando di bocca in bocca: quasi un millennio più tardi ci sono pervenuti numerosi bestiari di origine medioevale o sono state messe per iscritto fiabe fino ad allora tramandate a voce.

Sono anche queste le fonti che gli storici usano per cercare di ricostruire la mentalità dell’uomo nell’Alto Medioevo. Da qui sappiamo che la fede cristiana occupa un ruolo di notevole importanza, tanto da imporsi come chiave per la lettura del mondo: ogni elemento non appariva solo nel suo stato materiale o sensibile, ma veniva interpretato con un significato più profondo, appartenente all’ordine del divino. Infatti i trattati enciclopedici di questo periodo (bestiari, florari e lapidari) non sono di valore fisico e naturalistico, bensì di valore religioso e morale.

Voglio citare l’esempio della fenice nel Bestiario di Aberdeen1: questo animale (ovviamente ritenuto reale) viene descritto come un volatile originario dell’Arabia con la caratteristica di riuscire a risorgere se ucciso, caratteristica che viene ovviamente interpretata anche in chiave religiosa, paragonandola alla resurrezione di Cristo.

Non bisogna pensare però che quello della fenice sia un caso particolare: in questi trattati sono moltissime le creature immaginarie, e ogni animale é descritto anche come allegoria. E dove possono vivere questi animali, se non nella magica misteriosa foresta?

Risulta essenziale nello studio della storia cercare di capire la mentalità di un’epoca, non basta conoscere semplicemente gli avvenimenti in ordine cronologico…

L’analisi di leggende, canti popolari, opere e fiabe di origine medioevale ci permette di farci un’idea totalmente differente da quella che ci faremmo osservando solamente che tra il 476 e il 1000 la popolazione si è ridotta drasticamente e che gran parte delle strutture romane sono entrate in declino.

Ne viene fuori un’immagine molta lontana dalla concezione illuminista de Medioevo come semplice “età buia”…

Davide Gallo (3H)

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