La leggenda del pianista sull’oceano è un film del 1998 diretto da Giuseppe Tornatore e tratto da Novecento, monologo teatrale di Alessandro Baricco.
1 gennaio 1900. Un macchinista nero trova su un pianoforte un bambino in fasce e decide di prendersene cura. È così che Danny Boodman T.D. Lemon Novecento cresce a bordo del transatlantico Virginian senza mai scendere a terra e diventando il più grande pianista mai esistito.
Egli avrà più volte l’opportunità di conoscere il mondo ma non la coglierà mai: è un universo sconfinato, di cui non comprende le dinamiche.
Il film è strutturato sull’alternarsi di due piani temporali in cui la vicenda è raccontata da un narratore interno, Max Tooney, amico del protagonista, attraverso continui flashback, che conferiscono alla storia un’aurea ancora più inverosimile e magica. Protagonista indiscussa di questo film è la musica, interamente composta dal grande Ennio Morricone. Affascinante e ipnotica, racconta e ci fa percepire tutte le emozioni che prova il protagonista quando suona. Il motivo probabilmente più emozionante della colonna sonora del film è Playing Love, composto da Novecento mentre osserva la ragazza, di cui si innamorerà, camminare sul ponte della nave.
Novecento, interpretato da un eccezionale Tim Roth, è un personaggio fuori dal comune: sognatore, curioso verso il mondo, privo di malizia, vive nel suo mondo e, come racconta Max, sa capire le persone. “Sapeva leggere Novecento, non i libri. Quelli sono buoni tutti. Sapeva leggere la gente, i segni che la gente si porta addosso, posti, rumori, odori. La loro terra, la loro storia, tutta scritta addosso. Lui leggeva e con cura infinita catalogava, sistemava, ordinava in quella immensa mappa che stava disegnandosi in testa. Il mondo magari non l’aveva visto mai, ma erano quasi trent’anni che il mondo passava su quella nave. Ed erano quasi trent’anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima.”
Sul Virginian ha imparato ad ascoltare. È una di quelle persone che sa descrivere che odore c’è in tale posto anche se, in quel posto, non c’è mai stato. Ciò spiega quanto il personaggio sia geniale.
Conosce i suoi limiti, e questo possiamo capirlo soprattutto alla fine del film, quando spiega perché non è mai sceso dalla nave e mai scenderà. “Non è quello che vidi che mi fermò, Max. È quello che non vidi… In tutta quella sterminata città c’era tutto tranne la fine. Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace. In questo posso vivere.
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai … Quella tastiera è infinita. Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. E sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.”
Questo film ci insegna sicuramente a vivere la vita con curiosità, come se fosse una dolce poesia, riconoscendo i nostri limiti, ricordandoci di essere umili, perché siamo esseri piccoli in un mondo immenso, troppo grande per noi. Ecco perché il nostro scopo nella vita deve essere quello di trovare la tastiera su cui suonare, per provare a essere felici.
Elisabetta Gucciardi (3B)