Quando un giornalista ficca troppo il naso, quando s’intestardisce a voler scrivere la verità, viene sbattuto allo sport. Come hanno fatto con me, aggiunge amaramente Francesco, seduto nel tinello col piccolo Arturo.
Arturo vive a Palermo, e la sua prima parola è stata mafia. Arturo è innamorato di Flora, e spera di conquistarla coi consigli del premier Giulio Andreotti. Arturo per diversi giorni ha portato a Flora un’iris, perché un palermitano non può non conoscerle, ma poi le iris non si possono più mangiare, perché dentro ci sono i sette proiettili che hanno ucciso il commissario Boris Giuliano.
La polizia sta controllando tutte le operazioni bancarie sospette e il padre di Flora, direttore della banca, è nervoso, vuole trasferirsi in Svizzera dove le guardie non ficcano troppo il naso. Al cimitero Arturo riceve la terribile notizia, ma è determinato a non lasciar partire la sua amata. Perciò sul marciapiede antistante la sua palazzina, proprio accanto ad una macchina verde posteggiata, disegna un cuore, scrive ti amo. Il mattino dopo, 29 luglio 1983, è il giudice Rocco Chinnici a leggere compiaciuto il messaggio – giusto un minuto prima di morire, un minuto prima che la macchina verde esploda.
Arturo pensava che Francesco fosse un boss mafioso nascosto a casa del nonno. Invece è un giornalista e i due diventano grandi amici. Arturo va ancora alla scuola elementare ma ha vinto un premio importante. Così, decide di intervistare il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
“Il premier Andreotti dice che l’emergenza criminalità è in Calabria e in Campania. Generale, ha forse sbagliato regione?”
Il 3 settembre 1982 Arturo si pente di aver posto la domanda in questi termini. La risposta del generale non l’aiuta: se per combattere la mafia ci vuole un esercito, ai suoi occhi la prefettura vuota dimostra solo che non c’è mafia da combattere. A poco vale il suggerimento di Francesco – un giornalista deve sempre controllare le proprie fonti, anche se si tratta del premier Andreotti.
Arturo rincontra Flora dopo tanti anni – è la prima assistente di Salvo Lima, e lo salva da un misero impiego di pianista proponendolo come giornalista privato dell’onorevole. Arturo ha ormai la nausea dell’eterno motto “la Sicilia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno della Sicilia”, ma non vuole lasciare Flora. Arturo interpreta male un certo invito a cena e dichiararsi dopo aver detto che l’onorevole Lima non è altro che un burattino nelle mani di Cosa Nostra non porta proprio dritti al “vissero felici e contenti”. Il 12 marzo 1992 giunge il momento di tagliare i fili all’ormai inutile marionetta: Arturo arriva sul posto per primo.
Fa molto caldo in città, e se Arturo vaga di emittente radiofonica in studio televisivo lasciando il proprio curriculum, il boss Totò Riina ha fatto installare in casa propria un modernissimo condizionatore. Gli ci vuole qualche giorno per domarne il telecomando, ma presto la tecnologia non ha più segreti per lui: il 23 maggio 1992 il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro muoiono in una devastante deflagrazione nei pressi di Capaci.
Arturo, Flora e migliaia di altri palermitani sembrano ora aver capito come funziona, e scendono in piazza. Arturo e Flora si ritrovano. Arturo e Flora hanno un bambino, a cui mostrano tutte le lapidi delle vittime di mafia perché sì, la mafia può uccidere anche noi e anche adesso che è inverno, perché la mafia non uccide solo d’estate.
Chiara Murgia (5C)