Il processo di Norimberga è il nome comunemente usato per indicare i due procedimenti giudiziari che portarono alla condanna dei criminali di guerra della Germania nazionalsocialista. Tra loro, oltre ai gerarchi del Reich, si annoverano anche imputati minori, quali comandanti militari, magistrati e medici. Un processo analogo, sebbene molto meno conosciuto nei Paesi occidentali, fu portato avanti a Tokyo nel 1948, e si concluse con la condanna dei responsabili dei crimini di guerra dell’Impero del Sol Levante. All’appello delle forze dell’Asse manca l’Italia: nel bel Paese, nessun procedimento giuridico fu intentato ai danni dei fascisti macchiatisi di crimini di guerra e contro l’umanità. Le credenze diffuse nel dopoguerra, anzi, dipingevano gli italiani come “brava gente”, in contrapposizione ai feroci nazisti. I crimini di guerra italiani, tuttavia, esistono eccome e non possono essere cancellati così facilmente.
In Libia, dove l’occupazione italiana era ostacolata dalla resistenza dei Senussi, gli ufficiali Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani si macchiarono di gravi colpe, quali l’istituzione di campi di concentramento, abusi ai danni dei civili e esecuzioni di massa senza processi. Graziani fu più tardi presente in Etiopia, sia durante la campagna militare che a conquista effettuata; qui, l’esercito italiano bombardò interi villaggi di civili, per giunta usando armi interdette come i gas asfissianti.
Da non dimenticare sono poi i crimini di guerra commessi nei Balcani, sia durante il conflitto in Grecia che in territorio jugoslavo: la creazione di veri e propri lager, nei quali venne deportata dal generale Roatta più di un decimo della popolazione della provincia di Lubjana è solo parte dei tanti abusi commessi dalle truppe italiane nei confronti degli abitanti di quei territori.
Alla luce di questi fatti, sembra impensabile che questi crimini siano rimasti a tutt’oggi impuniti. Un ruolo fondamentale fu giocato dall’armistizio italiano dell’8 Settembre 1943, con il quale l’Italia rinnegò l’Asse Roma-Berlino e si arrese alle forze alleate. Badoglio, fuggito in Sicilia per evitare la vendetta tedesca, dichiarò addirittura guerra ai nazisti: in questo modo, lo status dell’Italia si trasformò in quello di una nazione cobelligerante, occupata dai tedeschi e “vittima”. E’ molto importante ricordare, tuttavia, che molti dei criminali di guerra italiani non si arresero affatto con l’armistizio: lo stesso Graziani fu ministro della Repubblica Sociale nel 1944, e le sue truppe parteciparono in modo attivo alla lotta antipartigiana e alle deportazioni nazi-fasciste degli ebrei.
Per questo motivo, l’ipotesi di una Norimberga italiana fu soppesata dalle potenze vincitrici terminata la seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti e il Regno Unito si informarono sui maggiori crimini commessi dai leader fascisti, ma non portarono mai avanti un vero processo. Il motivo di tale riluttanza è da ricercarsi nel referendum del 2 giugno 1946, che sanciva la nascita della Repubblica Italiana. Gli alleati temevano, infatti, che un processo contro il fascismo avrebbe aumentato considerevolmente i consensi del Partito Comunista: l’Italia, dopo gli accordi di Yalta, era stata inserita nel blocco occidentale, e l’ascesa di una maggioranza di sinistra non era vista di buon occhio. L’ombra della Guerra Fredda mise poi in netta contrapposizione l’Italia con la Jugoslavia, che rappresentava un’ulteriore minaccia “rossa”: accettare le richieste di estradizione del Maresciallo Tito e soddisfare così la sete di vendetta delle forze comuniste non era certo tra gli obiettivi statunitensi.
Alle influenze esterne si deve poi aggiungere la responsabilità dell’Italia stessa, spesso riluttante ad accettare il proprio passato. La prima cancellazione degli scheletri nell’armadio avvenne nel 1946, all’indomani della proclamazione della Repubblica, con la cosiddetta Amnistia Togliatti, che condonò molti dei reati commessi dopo l’armistizio. L’Italia del dopoguerra era un Paese già ricco di divisioni, che non avrebbe retto un’autocritica così pesante; attuare un’epurazione completa dal fascismo era anzi ritenuto controproducente. L’amnistia Togliatti fu poi seguita da diversi provvedimenti, su tutti quelli presi nel ‘53 e nel ‘66, che cancellarono i reati precedenti al 1948.
Alcuni processi furono comunque intentati ai danni dei maggiori leader dell’Italia fascista. Nonostante ciò, gli esiti furono pressoché nulli: Graziani se la cavò con due anni di carcere, mentre Roatta e Borghese circolarono in libertà senza mai essere condannati. Badoglio, addirittura, non fu mai processato.
Lo storico Michele Battini, docente all’Università di Pisa e autore di numerosi saggi sull’argomento, parla dell’elaborazione di una vera e propria “memoria selettiva e parziale basata sull’esclusiva attribuzione dei crimini contro l’umanità alla nazione tedesca, identificata col nazionalsocialismo”. In sostanza, è come se gli italiani si fossero auto-assolti senza processo, addossando l’intera responsabilità dei propri crimini ai nazisti. Situazioni simili a quella italiana si verificarono in Austria e in Francia, dove i crimini del governo di Vichy vennero spesso minimizzati o affibbiati alle forze tedesche.
La tendenza collettiva fu, dunque, quella di una damnatio memoriae, un’amnesia collettiva per insabbiare i demoni del passato.
Sebastiano Scali