La nuova religione

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La nuova religione

Orlan, No Comment

Urla, schiamazzi, odori e insulti. Cori a più voci, che si sovrappongono l’un l’altro. Gole tese e vibranti nello sforzo di prevalere sui peana avversari. Un miscuglio eterogeneo dei più disparati ceti sociali uniti in un unico abbraccio di acciaio e gradini, di luci e vetro. Queste le chiese della modernità. Questi i terribili templi politeisti che rigurgitano salmi non sacri. Canti pagani e goliardici, carnevaleschi e apertamente offensivi verso l’altrui divinità. Una vera religione del popolo, conformista e anti-individualista come le maggiori confessioni, ha progressivamente invaso a macchia d’olio il secolo, il mondo terreno. La malattia del calcio ha contagiato negli ultimi decenni di storia milioni e milioni di persone. E queste, senza alcun battesimo o cerimonia d’iniziazione, hanno cominciato a cantarne le lodi, ad esaltarne gli dei, a partecipare ai vari riti. Le preghiere ad inizio campionato, la processione domenicale, i ritrovi infrasettimanali, le feste a fine anno. Non è una confessione impegnativa, non è certo il nostro caro cristianesimo. Questo sì che è faticoso per l’umana natura. “Ama il il prossimo tuo come te stesso”, “prega per i tuoi nemici”, “porgi l’altra guancia”. Comportamenti controcorrente e assai difficili da accettare e mettere in pratica nella società attuale così come in quella greco-romana. Omologazione al sistema, dinamismo, adattamento, malizia e cattiveria. Questo richiede il mondo attuale: non c’è spazio per generosità, riflessione o compassione, ed è così che il calcio vende la sua immagine, fatta di soldi, donne, divertimento e potere economico. Checché se ne dica, manifestazioni del genere esaltano la bestia insita in ciascuno di noi, tirano fuori la rabbia, l’atavica voglia di combattere e prevalere. Durante una partita la curva odia letteralmente ogni singolo giocatore avversario, lo schernisce, si fa beffe di lui. La semplice famigliola da “Mulino Bianco”, al posto di andare a passeggio la domenica pomeriggio, strepita contro l’arbitro per un fallo non dato. Gli ultrà, gli odierni farisei, si ritrovano ad urlare contro la persona con cui, magari il venerdì prima, avevano manifestato per i diritti degli operai. Il calcio fa sentire la gente parte di un grande sogno messianico di gloria imperitura e intramontabile e, proprio per questo, richiede i suoi riti, i suoi simboli, i suoi sacerdoti. Pasolini aveva colto nel segno quando diceva che il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. Non manca il capro espiatorio, il povero animale a due gambe sulle cui spalle ricaricano i peccati e le delusioni di una partita andata male, di un’intera guerra o di una sola battaglia persa. Non mancano neanche i sacrifici, le oblazioni in denaro prima della cerimonia, il totocalcio e le scommesse sportive, dietro le quali, però, si celano a volte ben più che semplici speranze di vittoria. Non manca l’indottrinamento mentale: propaganda su cartelloni, pesante riscontro mediatico, club privati o programmi televisivi prima-dopo-durante. Questo è il vero “oppio dei popoli”, che annebbia la vista delle menti semplici e trasforma i più mansueti agnelli in lupi affamati. Dal grigio impiegato al padre di famiglia, milioni di caratteri la domenica prendono parte al grande rito collettivo di evasione, per trasmigrare spiritualmente nelle gambe e nei piedi degli idoli d’oro cacciatori di palloni. Sventolio continuo di bandiere, inni e gesti uniformati in ogni parte del globo. Questa è alienazione: non più di fabbrica, non più mercato “padrone”, non più il riconoscimento soggettivo nell’oggetto prodotto, ma solo sport. “Tutti insultano? Insulto anch’io. Tutti esultano? Esulto anche io. Tutti picchiano? Picchio anch’io”! Il singolo perde i connotati ed è lì che il branco, la setta, si fa avanti, riuscendo a compiere imprese di cui la moderna società non può andare certo fiera. Dallo sport borghese come era nato in Inghilterra nell’Ottocento, all’evento mediatico di massa odierno. Il gioco del calcio si è evoluto enormemente sino ad assumere un carattere planetario. Unisce, disgrega, accende gli animi e provoca scariche di adrenalina. Ma che sia addirittura arrivato a diventare la sola ragione di vita di alcuni ragazzi, l’unico modo di affermarsi, o uccidere delle persone, non lo si può certo accettare. Per quanto difficile possa essere, questa religione deve abbassare la testa alla razionalità umana e i vitelli d’oro devono scendere dalle loro portantine e camminare con le proprie gambe.

Matteo Giacosa (5B)

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