Oggi tutto è in movimento. Tutto è in divenire: si cambia religione, look, opinione. Persino moglie. Andate però in giro a chiedere quel che non si cambierebbe mai. Otterreste da tutti (o quasi) la stessa risposta: la squadra del cuore.
Che il tifo abbia una sua forza intrinseca non è nuovo: non di rado a Costantinopoli l’Imperatore doveva temere per il suo trono più dalle opposte tifoserie delle bighe che dalle congiure di palazzo. Rispetto ad allora, però, lo sport ha un ulteriore valore aggiunto. “Il calcio si sta trasformando in una religione sostitutiva di tipo laico, con una sua ritualità, i suoi simboli, le sue cattedrali, le sue sette” ha affermato Vasquez Montalban nel ’98, a commento di un Concilio Ecumenico del calcio: il Mondiale di Francia.
Nel 2006, all’inizio di quegli altri Mondiali che avrebbero portato gli Azzurri sul tetto del mondo, comparve sul Corriere della Sera una vignetta che vale la pena di essere ricordata: Berlusconi, sconfitto nelle elezioni politiche dell’Aprile precedente, sventolava la bandiera di partito, gridando ad un Prodi impettito: “Ed ora tutti Forza Italia!”
Altro che tregua olimpica: il Bel Paese non è mai così unito quanto durante le partite della Nazionale. Tutti, anche chi del calcio non è appassionato, partecipano a questo rito collettivo. Già, Italia: popolo di Santi, poeti e navigatori, ma anche di calciatori ed amanti del calcio. Un po’ come chi va a Messa solo a Pasqua e a Natale viene accolto con gioia dai fedeli più devoti, così anche i più tiepidi vengono ravvivati dall’ardore dei tifosi più fedeli.
“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci”, affermava Pasolini. La domenica è il giorno sacro di questo culto: le celebrazioni sono perlopiù di pomeriggio, ma ormai ci sono canali televisivi che trasmettono partite di pallone ad ogni ora del giorno e della notte – come d’altronde fa TV2000 col Rosario in diretta da Lourdes.
Proprio nel gioco del pallone trovano la più “alta” applicazione le parole dell’Apostolo delle genti: “Non c’è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero ma siete uno solo”. Per la fede calcistica si accantonano inimicizie personali e politiche: quanti milanisti lodano come Presidente di Club chi poi condannano come Presidente del Consiglio? E questo vale anche, anzi soprattutto sul campo di gioco: a nessuno importa del nasone di Chiellini o della pelle di Balotelli, purché giochino, giochino bene e giochino per la propria squadra.
Centrale è anche il ruolo della speranza calcistica: di vincere il Campionato, di andare in Europa, o semplicemente di non retrocedere in Serie B. La speranza di un miracolo, di un goal imprevisto ma comunque atteso, come la vittoria di Davide su Golia, per dirla come Galeano: “Dove meno te l’aspetti salta fuori l’impossibile, il nano impartisce una lezione al gigante, un nero allampanato e sbilenco fa diventare scemo l’atleta scolpito in Grecia”.
Quel Trionfo del 2006 al Circo Massimo non ricorda un Giubileo? Il Pontefice in Piazza San Pietro, dopo la Consacrazione, eleva il calice contenente il Sangue di Cristo. Tutti sono inginocchiati, in Adorazione, il Latrìa, fra l’odore d’incenso e il tintinnio dei campanelli. Al Circo Massimo un milione di persone “osanna la Coppa alzata al cielo da Cannavaro, ormai fuso con essa”, raccontano le cronache.
“Il calcio è un elemento fondamentale della cultura contemporanea” , secondo le parole di T. S. Eliot. È per noi caratteristico e caratterizzante quanto lo è stato il teatro nell’Antica Grecia. Anzi, forse ha proprio ragione Pasolini a dire che ne ha preso il posto. Quel teatro che per Aristotele portava alla catarsi, alla liberazione dalle passioni: una domenica da ultrà non è forse purificazione di una settimana trascorsa nel grigiore della mediocrità?
Pane e giochi. Pane e calcio: una “proposta di alienazione collettiva su scala planetaria”, per sfuggire dal mondo reale almeno in quei novanta minuti (più recupero). Quasi una religione, una proposta di salvezza che può trovare pieno compimento solo grazie all’azione di quegli undici ministri sul campo di gioco.
Fra San Pietro e il Circo Massimo c’è però di mezzo il Tevere e non solo. A ciascuno il suo idolo: per gli Israeliti fu il Vitello d’oro. Per noi chissà che non sia il pallone d’oro.
Valerio Pace (5D)