La paura di essere intelligenti

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libri nell'autogrillAffacciarsi allo scaffale di libri esposto in un autogrill può diventare un gesto estivo distrattamente frequente. Il caleidoscopico affollamento di titoli sembra quasi voler riecheggiare invano un’eco lontano del plurilinguismo dantesco. Sui tavoli ordinati delle librerie, la logica rigorosa e accattivante del libraio sfida il lettore esperto a lasciarsi catturare, lo seduce con complicità nascoste ma misurate, decise ma sussurrate. La scompigliata cesta di un autogrill, nata da una logica più strettamente commerciale, riunisce però sorprendentemente generi tanto opposti fra loro da lasciare un sapore incuriosito sul palato di chi vi si sofferma. Decine di romanzi rosa mescolati alle ricette tipiche del nord-est italiano, libri di suggerimenti turistici accanto ai Best Seller degli ultimi 10 anni, astrologia applicata alla convivenza sociale nascosta dai 1000 e uno motivi per inaugurare un’ultima sigaretta. E proprio nel mezzo di questo caleidoscopio di titoli anche Svevo, Calvino, Eco e Pennac, Allende, Stevenson ed Hesse. Frugando fra le sagome più differenti, come nella babele di un banchetto del balon, si scoprono intrecciati utile, dilettevole e letteratura. Nella pausa fugace tra i troppi chilometri percorsi e quelli ancora da percorrere, con un caffè in una mano e una rivista da viaggio nell’altra, sembra delinearsi una rappresentazione prepotentemente originale del quinto fra quelli che Pennac definiva i 10 diritti di chi legge: leggere qualsiasi cosa. Un diritto-dovere che in realtà invita a non limitarsi ad uno spassionato bovarismo borghese e insieme a non rintanarsi in uno sprezzante elitarismo accademico, ma spinge a risvegliare quello spirito critico tanto spesso sopito dalla passività delle immagini, che porta l’abitudine di guardare, a prevalere sull’abilità di osservare. Davanti a una pagina di giornale gonfia della cronaca d’invenzione che suscita tanto entusiasmo, l’informazione sbiadisce, mescolata riscritta, reinterpretata, rimasticata per soddisfare la fretta di un pubblico assetato della rapidità dei fotogrammi. Rincorrendo le sequenze cibernetiche e televisive rischiamo di rinunciare a interrogarci. Informarsi in fondo è tanto diverso da subire quanto scegliere lo è da sentirsi obbligati. Probabilmente aveva ragione la professoressa che, davanti alle perplessità dei suoi alunni sulla filosofia idealista, li esortava a non aver “paura di essere intelligenti”. Spesso si insegna ad accettare la cultura, la si propina come un cucchiaio d’olio di ricino, meno spesso si impara a farla propria, costruendosela.
Forse proprio per questo Pennac si rallegrava che i “buoni romanzi” non gli fossero stati imposti. Preferiva scoprirli.
«Ci sono “buoni” e “cattivi” romanzi. Molto spesso sono i secondi che incontriamo per primi sulla nostra strada. E, parola mia, quanto toccò a me, ricordo di averli trovati “belli un casino”. Ma sono stato fortunato: nessuno mi ha preso in giro … Qualcuno ha solo lasciato sul mio passaggio qualche “buon” romanzo guardandosi bene dal proibirmi gli altri.»
Daniel Pennac – Come un romanzo

Federica Baradello (5F)

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