E la pista da corsa continua, sotto le falcate delle bici e dei podisti, interminabile, lungo le larghe sponde del fiume Tago, che, lentamente e ineluttabilmente, va a riposarsi nell’Atlantico. “Tunf”, il piede si posa, le ginocchia stridono e l’asfalto scorre. I pensieri cominciano, mentre un barbuto signore un po’ trasandato viene superato dalle gambe in movimento. Sole e pioggia, caldo e freddo, felicità e malinconia… tutti piccoli ossimori che creano nella testa ondicelle di pensieri, ordinati e confusi come l’oceano a Marzo; un sole che ti ricorda le lunghe giornate estive e i gavettoni in spiaggia con gli amici, o il vento primaverile, che sembra arrivare dall’Atlantico giusto per ricordarti che non esiste solo il “mare nostrum”. Tunf. Una grande “ringcomposition”, una digressione ad anello iniziata circa cinque anni fa con un indimenticabile viaggio in Grecia e conclusa, purtroppo o finalmente, in una città che la leggenda vuole fondata dallo stesso Odisseo durante il suo viaggio di ritorno da Troia a Itaca. Olisipo, per gli antichi greci, Lisbona, per noi moderni. Tunf. I famosi azulejos, le piastrelle di ceramica dai magnifici disegni con cui Lisbona è decorata, hanno visto passare sopra di loro innumerevoli persone, e, tra di esse, anche due piccole classi di italiani provenienti da Torino, che hanno scelto di concludere il loro percorso scolastico con un viaggio di cinque giorni nella capitale portoghese. L’euforia della partenza, si sa, contagia anche i più restii, e quando i piedi si sono posati sulla terra di Vasco de Gama, non potevamo che essere tutti entusiasti. Tunf. Durante il viaggio ci eravamo divertiti provando a parlare portoghese, secondo il luogo comune “tutte le parole finiscono in –ao” . Erano spuntate le classiche freddure del tipo: “Il gusto di gelato preferito in Portogallo? Il cacAO, naturalmente. Il saluto preferito? CiAO!”. Ma la serenità in cui sei immerso si va a scontrare con il subitaneo ripresentarsi dei compiti, interrogazioni, verifiche e simulazioni. “Raga, dopo questo viaggio mancano meno di cinquanta giorni alla matura”. “Hai fatto la tesina?”. “Eh, adesso bisogna mettersi sotto”. Frasi come queste, di certo, non mancavano. Tunf. È stato assai difficile considerare questa gita l’ultima del liceo. Si fa presto a pensare al “prossimo anno” senza rendersi conto che sarà, malauguratamente o per fortuna, del tutto diverso. Non più insegnanti con cui scherzare o che ti rimproverano se non hai svolto i compiti assegnati per casa. Tunf. La magnificenza della Lisbona manuelina, però, affascina sin dal primo giorno, e osserviamo meravigliati Praça do Comércio, dai palazzi giallo-ocra e la candida pavimentazione di marmo. In giro c’è poca gente che passeggia nella via principale il sabato pomeriggio: i soliti negozi aperti e qualche turista dalla riconoscibile aria estranea. Un giovane ben vestito si avvicina e, con fare disinvolto, chiede se vogliamo comprare da lui della droga. Stupiti, lo s’ignora. Tunf. La gita prosegue con la visita alla particolare Torre di Belém, da dove Vasco de Gama partì alla conquista dell’impero, e al Monasterio dos Jerònimos, stupendo esempio di architettura manuelina che ospita le memorie di illustri portoghesi, il tutto condito da folle di turisti dall’impazzita voglia di fotografare. Il sole batte forte su questi celebri monumenti, facendone risaltare il colore panna a scapito degli spogli edifici un po’ diroccati a lato. Dal finestrino del tram che ci riporta in centro, fontane e basse siepi di bosso ben squadrate si alternano a costruzioni vecchie e mal tenute; su di esse i graffiti più comuni inneggiano a un qualche sciopero generale e alla rivoluzione sociale. Tunf. Molti sono i mendicanti e giovani scapestrati agli angoli delle splendide piazze con fontane, come sacchi di spazzatura gettati a lato dalla società che li vorrebbe nascondere. “Tunf”, e l’asfalto scorre nuovamente sotto le ormai pesanti falcate. Il sudore cola sulla fronte, e, scendendo fino al mento, irrita la pelle del viso da poco rasata. Guardandosi intorno, non è difficile immaginare che questa non è la Lisbona turistica, quella descritta sulle guide dei professori, dagli ampi palazzi manuelini. Lunghi e bassi fabbricati, probabilmente vecchi magazzini ormai inutilizzati, sono la dimora temporanea di uomini che, seduti in circolo, bisbigliano in silenzio, fregandosi le mani, passandosi una bottiglia. La pista prosegue dritta, a lato magri alberi, su larghi spiazzi. Quattro panchine ospitano altrettanti relitti umani nel dormiveglia avvolti nel cartone e coperte. Sotto un cavalcavia, qualche barile carbonizzato lascia presupporre una notte passata al loro fianco, assieme a delle scarpe e dei brandelli di stoffa. No, non è proprio una Lisbona da tutti i giorni, questa. Una donna cammina, barcollando, in mezzo alla striscia di asfalto che delimita la corsa. Le passo velocemente a lato, questa si gira e farfuglia qualcosa, indicandomi. Tunf. Penso. Underground? Signori e signore, questa è la Lisbona underground, come non l’avete mai vista prima d’ora. Signori e signore, basta seguire la pista da corsa sulle rive del largo fiume Tago e cominciare a correre.
Matteo Giacosa (5B)