La scuola in Australia per un exchange student … e non solo!

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Foto di Dora Grassini In un certo senso è vero che in Australia hanno tutti la testa in giù: qui tutto è diverso, non solo le stagioni ma anche l’organizzazione e i ritmi della scuola.
L’anno scolastico inizia a fine gennaio o inizio febbraio, a seconda degli Stati, e termina verso metà dicembre; è diviso in due semestri a loro volta suddivisi in due term, il che vuol dire che i ragazzi vanno a scuola circa per dieci settimane, ne fanno due di vacanza e poi riprendono a frequentare.
Le vacanze estive non sono di tre mesi come da noi ma di un mese e mezzo al massimo.
Quando sono arrivata in Australia, i miei compagni in Italia si godevano il caldo e le vacanze mentre io, al freddo, ho iniziato la scuola nel bel mezzo dell’anno scolastico.
La mia si chiama Diamond Valley College, è una scuola pubblica (ce ne sono molte private di varie confessioni religiose) nei sobborghi di Melbourne che raggiungo con tre quarti d’ora di viaggio sullo scuola-bus.
L’inglese è una materia fondamentale per tutti mentre le altre vengono scelte dagli studenti in funzione di ciò che intendono fare in futuro (lavoro o Università).
Ovviamente io ho scelto le materie che potevano agevolarmi al rientro a scuola (inglese, arte, chimica, matematica e scienze), anche se non è stato facile per me, appena arrivata, orientarmi.
Per fare un esempio, c’erano molti corsi di matematica e non ho ancora capito se quello al quale mi sono iscritta servirà davvero al mio rientro a scuola; inoltre mi sono resa conto che iniziare a frequentare a metà anno scolastico comporta qualche difficoltà.
Faccio un altro esempio: chimica. Frequento un corso di base, tuttavia nel primo semestre sono stati spiegati i concetti fondamentali per capire gli argomenti che sto facendo oggi, quindi io faccio fatica perché non ho frequentato il primo semestre.
Di questo sistema mi piace il fatto che qui ogni studente possa scegliere di frequentare le materie che lo interessano, creandosi un piano di studi personalizzato, come da noi si fa solo all’Università. Non esistono le classi dei ragazzi perché ognuno si sposta per frequentare la lezione di questo o quell’insegnante.
Si fa amicizia lo stesso perché, una volta scelto un corso, si vedono sempre le stesse facce. Di conseguenza nei college australiani i ragazzi non formano gruppi di classe ma provano invece il senso di appartenenza a un grande gruppo legato alla propria generazione.
Come straniera io sono stata inserita nell’undicesimo anno ma ho fatto amicizia soprattutto con i ragazzi del dodicesimo (l’ultimo anno dell’High School).
Quando sono andata alla Graduation, la cerimonia in cui gli studenti dell’ultimo anno ricevono diplomi e attestati, alcuni ragazzi sono saliti sul palco e hanno fatto scorrere le diapositive di quando, da piccoli, avevano iniziato il college, vicino a quelle scattate nel corso del loro ultimo anno; hanno fatto discorsi sul loro percorso scolastico e di saluto e ringraziamento a tutto il personale, docenti e non. I rappresentanti sul palco non parlavano a livello personale ma come portavoce di tutti i ragazzi che componevano il gruppo e hanno messo in evidenza gli aspetti di coesione e aiuto reciproco, dato e ricevuto, nel corso degli anni.
Ho notato che le lezioni non sono mai astratte ma piuttosto pragmatiche, basate sul seguire ragionamenti logici o su dimostrazioni pratiche e oggettive.
Non che la cosa mi abbia fatto sempre piacere. Quando l’insegnante di scienze ci ha portati al rettilario dello zoo, devo ammettere di essermi terrorizzata quando una signora dello staff, tranquilla tranquilla, ha fatto roteare a un centimetro dal mio naso un serpente pescato in una teca per dimostrarci non so cosa.
Pensavo che Arte potesse servirmi in vista del ritorno in Italia, ma mi sono resa conto che l’approccio alla materia è completamente diverso, direi – anche in questo caso – capovolto. Qui non si parla di conoscere la storia dell’arte o le caratteristiche delle varie scuole e correnti ma piuttosto di confrontare lavori che trattano lo stesso tema (ad esempio la discriminazione, la guerra, ecc.) per poi risalire alle tecniche, alle motivazioni dell’artista, alle emozioni che prova chi guarda l’opera arrivando infine a parlare del contesto storico e sociale in cui operava l’autore.
Oltre alla profonda diversità dell’approccio all’insegnamento delle materie, che mi ha destabilizzata, esistono (o sono esistiti) diversi altri problemi con la scuola.
Ho iniziato a frequentare la scuola poco dopo l’arrivo in famiglia. Persone molto gentili e affettuose che mi hanno persino fatto trovare nell’armadio la divisa che era appartenuta alla loro figlia maggiore.
L’ho indossata subito e immediatamente la gonna mi è scivolata fino alle caviglie perché, nonostante avessi scritto nella mia scheda di presentazione di essere piccolina, loro sono abbastanza grandi e non l’avevano ristretta abbastanza.
Sono stata colta dal panico: come potevo andare a scuola conciata così?
In compenso, non ho avuto bisogno di esprimermi in inglese: la mia faccia e la gonna acciambellata sui miei piedi hanno parlato da sole.
All’inizio, riuscire ad esprimermi è stato un problema perché capivo il senso delle conversazioni fatte in famiglia ma non riuscivo a parteciparvi.
A scuola la questione si è complicata perché le diverse materie hanno termini specifici e quindi capire il vero senso di una spiegazione e verificare di non aver capito invece il suo contrario è stato molto faticoso. Sostenere un’interrogazione, svolgere un test o scrivere un testo è stata una fatica inimmaginabile.
Inoltre all’inizio non capivo quando gli insegnanti mi parlavano per parlare o quando mi parlavano per valutarmi, tanto che mi ero fatta l’idea che gli insegnanti spiegassero solo e che non ci fosse un gran controllo sul rendimento.
La cosa mi era sembrata proprio bella, ma ho scoperto molto in fretta che gli insegnanti hanno diversi livelli di valutazione, non solo attraverso i test (che magari sono solo del tipo passato/non passato) o i colloqui, tanto che i giudizi negativi sul rendimento scolastico dello studente sono frequenti, esattamente come in Italia.
Mi sono però resa conto che il loro atteggiamento è sempre teso a stimolare l’apprendimento e mai si sognerebbero di passare all’argomento successivo senza essere sicuri che quello precedente è stato ben compreso.
Le attenzioni degli insegnanti sono un po’ meno intense per chi, come me, fa fatica a capire e parlare; “è arrivata a metà corso e presto se ne andrà” pensano i docenti, anche se non posso certo dire di essere stata trascurata: anzi, è proprio grazie a queste persone e alla mia famiglia australiana se oggi posso capire tutto quello che mi viene detto, compresi i doppi sensi e le battute della parlata corrente.
Però, dopo aver elogiato i tanti meriti della scuola australiana, un difetto c’è: il fatto che dopo i dodici anni ognuno si costruisca un proprio piano di studi mi sembra che non fornisca ai ragazzi un bagaglio culturale comune e favorisca fin da subito un’eccessiva specializzazione delle conoscenze.
Non so se sia un vero difetto perché qui il ritmo di vita è molto meno stressante che da noi.
Ognuno fa il proprio dovere con un alto senso civico e, una volta fatto, si rilassa e si diverte.

Dora Grassini (4F)

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