Aveva poco meno di vent’anni, ormai; sentiva un peso differente da quello cui era solita, sentiva il peso del tempo corroderla più di quanto lo fosse materialmente. Era stanca, stanca di vedere la corsa delle stagioni fuori dalla solita finestra, stanca delle assi di legno gonfie e delle crepe nel soffitto. Perfino il suo elegante vestito rosso l’aveva stancata, forse per gli strappi che troppo spesso diventavano cuciture o toppe che le ricoprivano i fianchi larghi. Ma era contenta della sua vita, almeno finché si era sentita viva. Aveva visto l’amore, anno dopo anno, talvolta in sguardi diversi. E l’aveva visto finire, di fronte ai suoi occhi, certa che presto i lunghi baci, le carezze e la pelle nuda nel buio statico del suo regno sarebbero diventati nostalgia, un vuoto nel suo quotidiano. Ma tornavano sempre, amori segreti che solo lei vedeva nascere, affogare nella passione per poi morire, nascere ancora.
Il tempo, d’altra parte, non era mai stato clemente con lei, e adesso le sussurrava un prevedibile addio. “Non è più quella di una volta”, dicevano, gli sguardi volti verso le macchie di tè sul suo petto. Qualcuno celava la tristezza dietro agli occhi malinconici e a un sorriso, pensava ai ricordi e alla sua silenziosa compagnia. Eppure di lacrime non ne aveva viste, quando il suo corpo finì definitivamente in pezzi. D’altronde era usuale, non era che una vecchia poltrona rossa.
Diana Ciobanu (IB)