La sposa bambina racconta la storia di Nojoud, una bambina yemenita che riesce a fuggire dal suo sposo aguzzino, ottenendo il divorzio all’età di 10 anni. Nojoud è costretta dalla sua famiglia a sposare un uomo di 30 anni, per un patto tra il padre e lo sposo, in accordo con le tradizioni locali: una pratica – quella del matrimonio tra una bambina e un adulto – tristemente diffusa nello Yemen e in tanti altri Paesi del mondo, e considerata legittima e soddisfacente per la dote derivante. La famiglia della bambina riceve un piccolo guadagno economico e l’opportunità di liberarsi di una bocca da sfamare. Il marito promette di aspettare la pubertà della ragazza prima di consumare il matrimonio, ma non mantiene la promessa, la violenta e la fa vivere come una schiava, con il benestare della suocera e dalla tribù. Dopo le numerose ribellioni, Nojoud viene riportata ai genitori, poiché si rifiuta di avere rapporti con il suo coniuge. La piccola riesce a scappare ed inizia da sola una dura battaglia contro le pratiche arcaiche, figlie di ignoranza e povertà, della sua famiglia e dalla sua tribù, denunciando il marito e il padre ad un tribunale nella speranza di ottenere il divorzio. Una storia di riscatto, di ritorno ad una vita normale in una nuova famiglia che la tutela e la protegge. Il ritorno a vivere i suoi diritti di bambina di 10 anni, che può pensare finalmente solo alla scuola e alla sua infanzia. Un film costruito su una storia vera, raccontata nel libro “I am Nujood, age 10 and divorced” di Nojoud Ali e della giornalista Delphine Minoui.
Nei 96 minuti di film, toccanti e molto riflessivi, si documenta la storia di una bambina, data in sposa a 10 anni. Qualcosa di impressionante e impossibile da accettare. Come può un padre maritare e vendere una bambina di 10 anni? Certo, la povertà fa fare di tutto, la scarsa reputazione nella tribù d’appartenza obbliga a scelte drastiche, ma non possono essere considerate delle giustificazioni. È inammissibile che il padre decida di vendere la figlia, una delle cose più preziose che la vita, nel più profondo del suo amore, possa donare. Da un certo punto di vista, il padre cerca di “proteggerla”, facendo un patto con il futuro marito affinché il matrimonio non venga consumato fino all’arrivo del ciclo mestruale, ma questo non è una scusante, tanto più che difficilmente possiamo aspettarci che venga rispettato. È sufficiente aspettare la prima notte di nozze, infatti, per vedere quanto il patto conti: il matrimonio viene consumato, attraverso uno stupro. Il trauma psicologico per Nojoud è inimmaginabile, come impensabile la sua sofferenza fisica. È stata trattata brutalmente, come un oggetto insignificante. Nonostante tutto, però, la bambina, sola e disperata, riesce a farsi forza e scappa, denunciando così la violenza fisica e psicologica subita. Una forza ammirevole che sarà ripagata: una forza nata nel buio che trova la sua luce. Una ribellione contro tutto e tutti: il padre, il marito, la società e anche la religione. L’Islam dei paesi più integralisti, di quei paesi teocratici nei quali tutto ruota ancora intorno a un universo totalmente patriarcale, a leggi che dipendono dall’interpretazione soggettiva delle sacre scritture. Ed è proprio sull’errata interpretazione della Sunna che si snoda uno dei passaggi più interessanti del film, quando in tribunale si fa presente che proprio lo sceicco della tribù del marito e della bambina, in primis, ha interpretato male le parole di Maometto, sostenendo il matrimonio. Nel film si afferma più volte come questo sia ricorrente. Dunque possiamo dire che questo film ha un forte impatto politico e sociale, che va a sviscerare il concetto stesso di libertà dell’essere donna e del decidere della propria vita all’interno di una realtà come quella yemenita. Il grande impatto emotivo che la pellicola suscita, non solo coinvolge ma soprattutto impressiona, appassiona e emoziona seguendo la storia della bambina “schiava” di due padroni. Da vedere assolutamente.
Asia Filomeno e Evangeline Busso