La tana profonda

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Sull’orlo del buco, la dottoressa P. non riusciva a calcolare.
Del resto, era priva delle formule necessarie per poter cominciare ad occuparsi di quell’assurda equazione: quant’era profondo quel varco spaziotemporale?
E, ben più significativa domanda, richiedente ancor più complesse “formulacchie”,
dove portava?
Abitualmente, le moltiplicazioni, i fratti e le scomposizioni, riuscivano a calmarla anche nelle situazioni più difficili, ma in questo caso, la sua mente aveva fatto glac e si era impietrita nello squasso della sorpresa.
La concezione di profondo, legata al suo grado di realtà fisica, non poteva essere applicata al buco nel quale sguazzavano contorsioni quantiche e piroette cosmiche.
Il buco si succhiava perfino lo sguardo, oltre alla luce, l’ombra, la sabbia, i sassi, i ramoscelli e i tronchi.
Se non fosse stata saldamente ancorata al suolo, la dott.ssa P. non avrebbe avuto il tempo di concedersi sorprese e riflessioni.
La spedizione, per la quale l’avevano ingaggiata, si era appena dimostrata un pieno fallimento.
Nulla di ciò che cercavano era stato trovato.
Ma ben altro era stato portato alla luce.
Il groviglio guazzabuglioso di improbabili ironie ed inverosimili similitudini, che turbinava qualche metro sotto il mento della dott.ssa P., era qualcosa che non avrebbero potuto immaginare.
Un legaccio si strappò e, con un urlo da disgraziato il medico della spedizione si sfracellò le molecole andando ad urtare il bordo del buco. Svanì con le bollicine.
Il bordo borbottò qualche ione stracarico di quanti ed emanò la fluttuazione della frequenza di un rutto.
Il tecnico della spedizione cominciò ad urlare qualcosa nel rombo dell’aspiratore spaziotempo, qualcosa rivolto verso la sua direzione, qualcosa del tipo che bisognava andarsene, che sarebbero morti tutti, che se ne fotteva della spedizione e che voleva solo tornarsene a farsi i cazzi suoi.
Ma la dott.ssa P. non era ancora disposta a gettare la spugna, voleva prendere dei campioni, qualche prova da analizzare al suo rientro. Non aveva mai lasciato una ricerca in crisi, menchemeno proprio nel mezzo di una svolta epocale! Sarebbe stato come se Cristoforo Colombo, o i Vichinghi prima di lui, avessero rinunciato a posare piede in America dopo averla avvistata. D’accordo, non erano le Indie, ma Cristo, qualcosa di più imprevisto e potenzialmente più fruttuoso! Così voltò le spalle e tornò a guardare il buco.
Il tecnico fece dei gesti agli altri sopravvissuti e questi presero la via del ritorno.
D’un tratto il buco ruggì. Una scarica di energia sovraeccitata si sparse a casaccio nella caverna e colpì una colonia di stalattiti, che franarono sopra la compagnia diretta all’esterno.
Le rocce tapparono il passaggio per parecchi chilometri, fine della via d’uscita.
La dott.ssa P. si morse i denti. C’era solo un’altra via.
La via del tutto e niente.
Mentre con mano lenta ma decisa si sfilava l’imbragatura, la dott.ssa P. ripensò a quel dannato coniglio.
Quel maledetto, fottuto coniglio in abito bianco che li aveva ingaggiati per esplorare gli abissi della sua tana.
“…è solo un’ indagine esplorativa” aveva detto alla reclutazione “andate, toccate il fondo e risalite. Non vi sembra un gioco da ragazzi?”.
Ora gliel’avrebbe volentieri ficcati nel culo l’indagine, il fondo e il gioco, al coniglio bastardo.
La dottoressa Alice Pleasance Liddell, si liberò dell’ultimo moschettone. Con una mano teneva la corda, con l’altra si fece il segno della croce. Non era mai stata credente, si fidava dell’ateismo, ma in quell’ attimo estremo decise di non badare a spese morali. Coerenza ed ipocrisia sarebbero presto state inghiottite dall’oscurità del buco, tanto valeva lasciarsi aperte più salvezze possibili.
Inspirò tre volte.
Fissò il centro.
Si lasciò andare, chiudendo il sipario delle palpebre.

Lo specchio si frantumò,
e così oltre.

Guido Bertorelli

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