Appoggiata a quella colonna si chiedeva cosa ci facesse lì.
In quella stazione quasi deserta di quel paesino dimenticato anche dalle carte geografiche.
Su quella pensilina abbandonata, dove qua e là coraggiosi arbusti facevano capolino nel porfido ormai rovinato da decenni.
Per quanto si sforzasse non riusciva a trovare una risposta. O meglio una risposta logica. Non aveva senso tutto ciò, non era una scelta ragionevole.
Perché lo stava facendo?
Lei era sempre stata una persona ordinaria, prevedibile. Forse questa era la causa.
Ormai aveva deciso: non sarebbe tornata indietro. O magari si.
Tutto ciò di cui aveva bisogno era un appiglio.
Una preghiera di una voce amica che la invitasse a restare. Nulla.
La sua vita meritava di essere vissuta, aveva un disperato bisogno di voltare pagina.
Un bisogno che proveniva dal suo essere più profondo, nemmeno lei sapeva ben spiegare questa necessità, perlomeno non razionalmente.
Quando era rimasta sola le era tornata in mente quell’avventura.
Desiderava fare una cosa del genere sin da piccola. Si era subito riaffezionata a quell’idea tanto balzana quanto intrigante.
L’aveva fatta di nuovo sua, immaginata in ogni minimo dettaglio, attualizzata e ora, ora si rendeva conto che quei dettagli erano fievoli fantasie di una mente ancora bambina che non era in grado di separare sogno e realtà.
Aveva agito d’impulso, strano.
Significativo.
Meglio ancora: appropriato alla situazione.
Da sempre le dicevano che sapeva comportarsi in modo adeguato, in quell’istante aveva realizzato che era vero.
IL TRENO E’ IN ARRIVO.
Attimo di panico.
Si alzò di scatto dalla sua tana improvvisata vicino alla colonna.
Le dispiacque lasciare quel posto, le era diventato famigliare.
Camminava nervosamente su e giù per quei pochi metri di cemento.
Le scale non erano lontane: uno, due, tre, quattro, dieci, venti passi. Ecco adesso era vicino ai gradini. Sfiorava il mancorrente.
L’acciaio freddo le fece rabbrividire la pelle.
Che fosse un segno? “Se torni indietro ti aspetta il vuoto”: era l’unico pensiero che le rimbombava in testa.
Il vuoto la terrorizzava.
Vuoto.
Intorno a lei c’era solo vuoto.
Il buio stava ormai calando in quella fredda sera d’autunno, pessimo orario per partire.
Ottimo orario per svanire.
Il treno si vedeva in lontananza, non c’era più tempo.
Prendere o lasciare.
Banalità o trasgressione.
Guardava lo zaino, troppo grande per la sua stazza, accantonato in un angolo: era il suo mondo.
Da quando aveva preso La decisione aveva passato ore a meditare su cosa portare come ricordo: niente.
Non ne aveva bisogno, quella che cercava era una nuova vita.
Completamente nuova.
Lo avrebbe riempito strada facendo.
Sarebbe stata la sua nuova casa, da arredare passo a passo.
I PASSEGGERI SONO PREGATI DI ALLONTANARSI DALLA LINEA GIALLA.
Era il momento decisivo.
Ogni singola fibra del suo corpo era in tensione.
Le porte si aprirono.
I piedi si spostarono da soli, con gesti automatici: era salita.
Si guardò attorno spaesata alla ricerca di un volto amico.
Nel vagone c’era solo una signora accanto al finestrino che leggeva attentamente il giornale del giorno prima.
Si sedette accanto a lei.
Aveva bisogno di parlare con qualcuno, salutò. La signora nemmeno si voltò quando sentì la sua voce. Sconforto totale: era sola, completamente.
Forse nel vuoto avrebbe avuto più compagnia.
Il treno iniziò a muoversi.
Gli occhi le si riempirono di lacrime che tentò inutilmente di celare; la signora non se ne accorse, o se se ne rese conto la ignorò.
Aveva paura.
Tremava.
Avrebbe voluto chiamare qualcuno, ma lei non aveva nessuno, non più. Da anni ormai.
Era partita per trovare compagnia e ora era sola più che mai.
“Povera illusa, le favole sono per i bambini.”
La realtà le faceva male, era più triste del previsto e le si era scagliata contro con incredibile violenza.
La porta si aprì.
Un volto famigliare fece capolino nel vagone.
“Non è possibile: quegli occhi, quel sorriso … Inconfondibili.” Erano anni che non lo vedeva eppure era lui.
Raggiante come non mai le si avvicinava allegro: l’aveva riconosciuta subito.
Incuriosito dallo zaino le domandò dove stesse andando.
A cercare la sua vita, rispose.
Ancora una volta si ritrovò a raccontargli ogni singolo dettaglio di quella scelta bizzarra in un misto di emozione e paura. Non avrebbe voluto che sapesse tutto. Nessuno doveva sapere, ma le parole sgorgavano spontanee.
Lui la ascoltava attentamente, come sempre.
Il tempo sembrava essersi fermato.
La signora stizzita si alzò, ma loro non se ne resero neanche conto.
Tutti quegli anni non erano mai passati.
Di colpo le passioni di un tempo riaffiorarono più forti di prima. Era viva e solo in quell’istante, con lui, lo capì.
Al capolinea scesero mano nella mano.
Il viaggio più avventuroso della sua vita era stato il più breve.
Carlotta Monge (4C)