Il suo nome è Mutlu Kaya. Per dodici giorni però, molti giornalisti sarebbero stati tentati di usare un imperfetto. “Il suo nome era Mutlu Kaya” si sarebbe letto sui giornali, se il 30 Maggio la ragazza non avesse riaperto gli occhi, nel lettino dell’ospedale di Diyarbakir, Turchia.
La serie di eventi che l’ha costretta ad affrontare un coma, e una lunga permanenza nel reparto di terapia intensiva, ha avuto inizio con le luci di un palcoscenico. Sesi Cok Guzel, in italiano: La voce è molto bella.
Si tratta di un talent show turco, durante il quale ragazzi e adulti si esibiscono davanti ad una giuria.
Col microfono tra le mani, la voce di Mutlu è arrivata dritta ai cuori del suo popolo. E’ stata Sibel Can, cantante turca, a convincere una volta per tutte i familiari della ragazza a concederle il permesso e le firme necessarie per prendere parte alla trasmissione. Poco dopo sono arrivate le prime esibizioni, i primi applausi, il primo vero pubblico, con gli sguardi incantati puntati sul palco. La magia di un talento che iniziava a brillare, la voce di una nuova stella che cominciava a risuonare sempre più forte. Giorno dopo giorno il sogno iniziava ad assumere contorni reali, e poi si è trasformato in un incubo. Le minacce sono cominciate nel mese di Aprile. Erano molte le persone contrarie alla partecipazione di Matlu, e dopo poco tempo si devono essere unite. All’inizio erano dei consigli, poi sono diventati opinioni, sempre più vincolanti, che si sono presto trasformate in vere e proprie intimidazioni.
Poi la teoria si è trasformata in pratica.
Era il 17 Maggio, questione poco di tempo prima che lo show incominciasse. La ragazza era nella sua stanza quando gli aggressori l’hanno raggiunta, e uno di loro ha premuto il grilletto.
La ferita alla testa le è quasi costata la vita. Per parecchie ore la notizia della sua morte è rimasta sospesa in aria come una sottile pagina di giornale, a tratti vorticosa, a tratti leggera, spinta da un vento triste, che non prometteva nulla di buono.
Quando l’edema ha cominciato a ritirarsi, i medici hanno interrotto il coma farmacologico, cominciando le procedure di risveglio. Era il 21 Maggio, e nove giorni dopo Mutlu riapriva finalmente gli occhi.
Il colpevole si chiama Veysi Ercan, è stato lui a far partire il colpo verso la sua ex ragazza.
Secondo le fonti meglio informate, la giovane ha da poco iniziato a parlare, tra la gioia immensa dei suoi familiari e gli sguardi sollevati dei suoi cari. Gioia però offuscata dal pericolo che ancora incombe su di lei, pericolo che deriva da ideali radicati nelle più profonde radici del paese, e soffoca donne, ragazze, bambine.
Diciannove anni e svegliarsi in un letto d’ospedale, viva per miracolo, per un proiettile sfuggito alla canna di una pistola, con la sola colpa di essere apparsa in televisione con le braccia scoperte.
Diciannove anni e non essere liberi di seguire un sogno, schiavi di un paese che impone le sue strette regole e punisce chi non le sa rispettare appieno.
Diciannove, Venti, Trentadue, o anche meno, e vivere in un mondo dove la violenza sulle donne è un po’ il pane quotidiano, e insieme alle cifre delle statistiche, aumenta anche la paura.
Essere donne in un paese dove si è costrette a coprirsi, a nascondersi, a non mostrarsi. Essere donne ed essere sottomesse dove gli uomini che regnano, regnano male.
Mutlu avrebbe potuto morire per qualche centimetro di stoffa in meno, morire per essere apparsa sul grande schermo e aver realizzato il suo sogno.
Morire per aver disobbedito a chi ha provato ad incatenarla, e non essendo riuscito ad incatenare la sua voce, ha deciso di farla tacere per sempre.
Emma Barraco (2B)