Mercoledì 10 marzo; ore 11.30, Aula studio. La prof.ssa Soglia in “Le donne come scrittrici”.
“C’è nell’immagine di una donna che scrive, qualcosa in più, di diverso dal solito, di anomalo, di sfuggente, di ambiguo. Questo qualcosa non ha a che vedere con lo scrivere, con la letteratura, con la qualità della scrittura. Forse è l’ombra di un pregiudizio antico, duro a morire. (Da “Le donne e la letteratura” 1984).
Così si apre la conferenza sulle donne COME scrittrici: con una citazione sul perché si parla di donne COME scrittrici e non di donne scrittrici.
Il mestiere dello scrivere è stato, a parte alcune rare eccezioni, appannaggio di soli uomini fino al 1970 circa.
La donna doveva e poteva essere solamente un essere sacro, “ella appare volta a volta nutrice e compagna dell’uomo, custode di una domestica liturgia” oppure una strega “una creatura infera che scatena e disordina gli elementi”. Finalmente alla soglia del 1970 ecco apparire un nuovo prototipo di donna: la donna scrittrice. Una donna che però “se vuole scrivere romanzi o poesia ha bisogno di 500 sterline l’anno e di una stanza per sé con la serratura alla porta”, scrive Virginia Wolf. Perché “500 sterline l’anno rappresentano la possibilità di contemplare e la serratura alla porta significa la facoltà di pensare per conto proprio…”. Una donna non può scrivere perché non ha una sua indipendenza economica e quindi non può conquistarsi la libertà intellettuale: “La libertà intellettuale dipende da cose materiali (…) e le donne sono sempre state povere, non soltanto in questi 200 anni, ma dagli inizi dei tempi. Le donne hanno avuto meno libertà intellettuale di quanta ne avessero i figli degli schiavi ateniesi.” Da questa riflessione deriva che la donna nella sua condizione di succube dell’uomo ha la consapevolezza di essere materialmente povera e privata della sua indipendenza economica e dignità sociale. Una dignità sociale che viene calpestata e oppressa, che spinge la donna ad adottare uno pseudonimo maschile per pubblicare i propri scritti, come fanno ad esempio George Elliot, alias Mary-Anne-Marion Evans e George Sand alias Amandie-Lucie-Aurore Dupin.
La donna è sempre stato un personaggio prediletto da qualsiasi tipo di scrittore, ma specialmente dagli uomini. Scrive infatti la Wolf: “Avete idea di quanti libri sulle donne vengono scritti ogni anno? Avete idea quanti di questi sono scritti da uomini? Sapete di essere l’animale forse più discusso dell’universo? (…) Le donne hanno illuminato come fiaccole le opere di tutti i poeti dal principio dei tempi: Clitemnestra, Cleopatra, Antigone, Lady Macbeth, Fedra, Rosalind, Desdemona, la Duchessa di Amalfi… tra i drammaturghi; e poi fra i romanzieri: Millamont, Clarissa, Anna Karenina, Emma Bovary … i nomi si affollano nella mente, e non richiamano l’idea di donne mancanti di personalità e di carattere. Infatti” continua la Wolf, “se la donna non avesse altra esistenza che nella letteratura maschile, la si immaginerebbe una persona di estrema importanza, molto varia: eroica e meschina, splendida e sordida; infinitamente bella ed estremamente odiosa.” Addirittura scrive: “Grande come l’uomo, e, pensano alcuni, anche più grande. Ma questa” afferma con una sorta di tono disilluso “È la donna nella letteratura”. Già, perchè, invece, nella realtà come osserva il Prof Trevelyan la donna “Veniva rinchiusa, picchiata e malmenata”. Un essere del tutto differente da quello rappresentato nei romanzi, quasi l’esatto contrario. La donna nell’immaginazione collettiva aveva una importanza fondamentale, è una protagonista nella vita dei re; affascinante, indipendente, bisbetica, autonoma, libera, padrona di sé, mentre nella concretezza era un essere praticamente insignificante, del tutto assente dalla storia, una schiava dell’uomo e “di qualunque ragazzo i cui genitori le avessero messo a forza un anello al dito.” Dalla sua bocca escono parole ispirate, di riferimento, sagge, mentre “nella vita reale non sapeva quasi leggere, scriveva a mala pena ed era proprietà del marito.”
Non dobbiamo dimenticare, però, quei romanzi scritti da donne, che raccontano di donne: “Mrs Dolloway” di V. Wolf; “Emma” di J. Austen; “La princesse de Clèves” di Madame de Lafayette e i più recenti “Cassandra” e “Medea” di Christa Wolf.
Con il passare del tempo assistiamo finalmente a un riscatto e ad un’emancipazione tutta femminile. Scrive infatti nel 1919 Katherine Mansfield: “Domenica pomeriggio. John al piano di sotto sta discutendo con Sullivan la teoria della relatività… il vento ha un suono piacevole… mi sento immensamente felice. Un marito, una casa, moltissimi libri e la passione di scrivere… è bellissimo avere tutte queste cose insieme.” La donna finalmente è libera, è una donna moderna. Ha acquisito la propria autonomia, è realmente padrona di se stessa, è emancipata e ha coscienza di quello che fa e di quello che è.
Al termine della conferenza applausi scroscianti investono la prof.ssa Soglia; la giusta ricompensa per un lavoro faticoso e meticoloso, ricostruito attraverso frammenti di poesie, lettere, romanzi e libri, incorniciato da immagini e ritratti rappresentanti alcune tra le più grandi donne scrittrici della storia.
Sono stordita, frastornata; le struggenti parole di Saffo, di Emily Dickinson mi tormentano. Mi sento leggera, fresca, la mia mente è libera da qualsiasi pensiero e pura. Percepisco una lieve brezza primaverile che si fa largo da una fessura della finestra davanti a me. Mi accarezza il viso, scompigliandomi delicatamente i capelli. Quale dolce artifizio è nascosto dietro a questa presentazione? Saranno le parole della Wolf, la voce morbida della Professoressa o la tenera compagnia con la quale ho assistito all’incontro a rendermi così maledettamente….felice? La leggerezza e la delicatezza delle parole con cui è stato trattato quest’argomento mi ha lasciata estasiata, inebriata, rapita… ed ora, rileggendo l’articolo, immagini di quella mattinata mi si affollano nella mente e come allora mi sento incredibilmente leggiadra.
Bianca Viano (3B)