Era un giovane ragazzo, 22 anni appena. Faceva il mestiere più vile che si possa immaginare. Era un ladro, con tanti furti e altrettante denunce alle spalle. Aveva la fama di non essere mai stato preso dalla polizia. Inseguimenti e fughe: questa era la sua vita. Non poteva muoversi, lo conosceva tutto il quartiere e non era ben voluto. Ma lui aveva un qualcosa che intimoriva tutti. Tutti sapevano che era il migliore in ciò che faceva, e avevano rispetto anche se dettato dalla paura, paura delle sue capacità.Era una persona fuori dal comune, non era un pezzente ma una persona molto colta, un maniaco del controllo, un perfezionista molto metodico. Tutte qualità che lo aiutavano a non finire nei guai. Il modus operandi era quello di distrarre il malcapitato (specialmente anziani) e intanto depredarlo. Era un calcolatore. Faceva solo due cose per vivere: rubare e rappare. Pur essendo giovane sembrava che fosse sulla scena da oltre vent’anni, su qualsiasi argomento. E alla solita provocazione: “Perché fai rap? Sprechi tempo, vai a lavorare!” rispondeva “Rapperò finché avrò qualcosa da dire, e non ho ancora finito!”. Un giorno sul pullman, un borseggio dopo l’altro. Scese. Si accorse di essere seguito. Due agenti in borghese, in fondo, erano una passeggiata per lui. Si sentiva quasi oltraggiato. Depistati in meno di 15 minuti. Era molto sicuro di sé, si sentiva infallibile, sia per strada che con un microfono in mano. Un giorno, però, qualcosa andò storto: mentre stava scappando da una casa appena visitata si fermò per comprare delle sigarette e, in quel preciso istante, entrò un gruppo di quattro uomini che lo esortarono con veemenza a uscire. Non si preoccupò minimamente. Appena uscì dalla porta, con uno scatto cominciò a correre, pensando di averla scampata. Poi il botto. Sentì le ginocchia rompersi. La testa in pezzi sul freddo cemento. Morto sul colpo. Di fronte alla morte nessuno ha scampo. Tutti vulnerabili quando la donna incappucciata chiama. Non aveva più nulla da dire.
Fabio Cannizzo