Compagni e compagne (di scuola, s’intende!),
ciò che sta prendendo vita nei nostri corridoi è sicuramente qualcosa di insolito, che nasce dallo spontaneismo e dalla necessità e voglia di sentirsi protagonisti di una struttura che effettivamente viviamo ogni giorno, e dunque parzialmente nostra, sebbene per soli cinque anni – ad essere ottimisti. Tutto questo è splendido, dimostra che non siamo fruitori passivi di un servizio in un certo senso obbligato e assolviamo diritto/dovere sancito dall’art. 21, ossia di manifestare liberamente il nostro pensiero ( … ). L’aria che si respira è calda, malgrado sia dicembre, e secca, densa di rivendicazioni generiche e specifiche. Aria di tensione e di paura, per chi si espone un po’ di più e poi ritratta in preda al panico e forse alla solitudine; un’aria tagliente, di quelle che fanno sentire vivi. Quell’aria che inspiriamo a pieni polmoni è anche frutto del clima generale di quest’anno, che è stata ed è la stagione del movimento. Si sono viste lotte comuni intrecciarsi e fondersi insieme, date ravvicinate ciascuna molto partecipata, non solo nella nostra città, sebbene sia uno dei territori più attivi. Il primo giorno di scuola la protesta è partita carica della forza estiva, piena di propositi e speranze per quella che si prospettava una stagione faticosa, difficile e impegnativa. Tante scuole, tra cui la nostra, hanno deciso in quella data di vestirsi da operai, coi caschetti gialli in testa, perché le scuole cadono a pezzi e non solo materialmente; ecco che il giorno dopo avevamo la prima pagina del manifesto intitolata “scul de sac”, e poi foto su foto su repubblica e la stampa, e non venga detto che fossimo solo su testate di parte. Dopo quindi un primo breve immediato momento di sensibilizzazione ecco che il primo venerdì di ottobre già viene indetto il “primo corteo cittadino”, a cui aderiscono circa 5000 persone. Tre cariche della polizia accresceranno così la rabbia e la foga dei manifestanti che quintuplicheranno le cifre di presenza una settimana più tardi, l’otto ottobre, data condivisa da tutte le regioni italiane. E ancora il venerdì seguente, giornata di sciopero CUB / COBAS settore scuola: almeno 10000 studenti, un po’ più stanchi ma di sicuro non meno determinati scelgono di continuare la protesta, anche aprendosi verso realtà sindacali, finora poco considerate. Circa un mese più tardi gli stessi numeri visti in precedenza tornano a gridare in piazza in occasione dell’ormai storica giornata internazionale del diritto allo studio, culminata nell’occupazione dei binari di P.N. Infine questo mercoledì, quando è stata davvero bloccata la città: i matematici di Pal Campana erano riusciti ad elaborare un calcolo secondo il quale se si fossero fermati tre punti nevralgici quali piazza Statuto, Rondò della Forca e stazione Dora per un’ora il traffico cittadino avrebbe rallentato il normale flusso di sei ore. E così è stato, ma non solo: il Politecnico, indipendente e decisamente attivo, ha sbarrato prima la zona di corso Massimo e poi i binari di Porta Susa, in concomitanza con altri studenti di P.N. e altri ancora all’ingresso della tangenziale di corso Regina.
I numeri? Troppi.
E forse la giornata più significativa di quest’autunno è stata quella del 16 ottobre a Roma, indetta dalla FIOM, ma che ha visto l’adesione di tutte le forze che costituiscono l’opposizione sociale del nostro paese, una piazza variopinta, operai, studenti medi e universitari, giovani precari, ricercatori, comitati per l’H2O pubblica, rete antirazzista, legambiente, persino qualche partito. Giorno, quel sabato, che potrebbe essere visto come il ritratto di questa fase del movimento. Il rifiuto di un futuro precario, di fanatismi e raccomandazioni, lo stesso rifiuto contro chi vorrebbe vederci deboli e pronti a svenderci , sia la Gelmini, sia Tremonti, siano gli accordi separati da Marchionne. La nostalgia dell’anno scorso verso quella che era stata l’onda ha lasciato spazio a intraprendenza, voglia di riscatto e cambiamento. L’onda non si è fermata, la marea non si è abbassata ed evidentemente è riuscita ad intaccare anche le bianche spiagge del lido arroccato qual è la nostra scuola. Quindi anche noi occupiamo, i corridoi, non l’edificio, contestiamo un qualcosa che si capisce e si conosce poco, lo si fa un po’ per mimesi, un po’ per qualunquismo, un po’ per non essere i solito sfigati del Convitto. Qualcuno più convinto ci crede davvero … e forse un po’ lo invidio. Attenzione, non intendo con ciò insinuare che sia inutile, anzi trovo sia un ottimo inizio per smuovere un po’ le coscienze. Ma non basta: la spinta iniziale di ribellione non può che essere incanalata in qualcosa che porti a dei risultati concreti, utili. E soprattutto sono fondamentali determinati passaggi che non possono essere scavalcati in vista di qualcosa di certo più emozionante. Dov’è finito il collettivo d’istituto, cantiere di idee a confronto? Che ne è di comitato d’istituto invece, organo più tecnico che dovrebbe farsi portavoce delle istanze di ciascuna classe? Credo infine che la parola d’ordine adatta alla nostra situazione, nonché al nostro stato in generale, sia informazione. E ci si informa tramite le rassegne stampa, diffondendo saperi e conoscenze, condividendo esperienze e ideali. Solo così si è davvero pronti ad affrontare una battaglia, forti per vincerla.
Gemma Nicola (5D)