“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”
– Articolo n° 19 della Dichiarazione dei Diritti Umani dell’ONU.
Belle parole, senza dubbio. Ma non sempre vere.
In Occidente la libertà di parola è spesso data per scontata, e questo porta molti ad esprimersi senza “filtri”, riversando sul web i propri pensieri e le proprie idee senza tener conto delle conseguenze che questo comporta. In altre parti del mondo, invece, vi è una totale assenza di questo fondamentale diritto. Ma cosa avverrebbe se a tutti fosse data la possibilità di esprimersi liberamente? Già nell’antica Grecia la libertà di parola (parresìa) era ritenuta la condizione fondamentale per essere pienamente considerati cittadini, per così dire una “conditio sine qua non”: essa era un diritto inalienabile di ogni libero cittadino. Anzi, siccome era riservata a un ristretto numero di individui, era ritenuta così importante che disporne e non usufruirne era considerato socialmente spregevole. Questo avveniva perché i greci ritenevano che solo coloro che erano in grado di comunicare chiaramente e in modo convincente fossero degli autentici cittadini della loro comunità, nella quale le arti oratorie avevano una grande importanza. Loro, così come i romani, consideravano la parola un efficace strumento per sollevare le masse, tanto che, per lungo tempo, a Roma si evitò la costruzione di teatri o simili edifici pubblici di grandi dimensioni, proprio per evitare riunioni e conseguenti rivolte popolari. I nostri antenati avevano già ben compreso la potenza che le parole, se usate abilmente, possono avere.
È facilmente comprensibile dunque come anche i dittatori, nel corso dei secoli, abbiano abolito la libertà di parola e, molto spesso, di stampa nei loro regimi.
Kim Jong-Un, l’attuale dittatore della Corea del Nord, ha represso duramente ogni forma di libera espressione da parte dei cittadini; ha fatto giustiziare decine di giornalisti, ma anche civili che hanno tentato di alzare la voce contro il regime sopprimendo così ogni forma di parresìa. Proprio per questo motivo la Corea del Nord è stata inserita dall’ONU tra le nazioni nelle quali il rispetto dei diritti umani è ai livelli più bassi nel mondo. Purtroppo in altri Paesi la situazione non è migliore: Bangladesh, Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Cina; c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Il problema principale però, molto spesso, non è la mancanza di libertà di parola bensì la mancanza d’istruzione. Ciò porta all’ignoranza circa i propri diritti ed è per questo che molte persone sopportano la loro condizione senza ribellarsi.
Proprio per questa causa si batte Malala Yousafzai, ad oggi il più giovane premio Nobel della Storia. Malala lotta per il diritto all’istruzione e ritiene che esso sia la chiave per migliorare le condizioni in cui versano molti ragazzi pakistani.
Nel suo discorso davanti alla commissione delle Nazioni Unite ha dichiarato che “libri e penne sono le armi di cui i talebani hanno paura”. L’impatto di questa frase è notevole, specie se si considera che un talebano attentò alla vita della giovane pakistana proprio perché ritenuta “responsabile di oscenità” per aver documentato, sul suo blog, la condizione rovinosa in cui versano le donne nel suo paese.
La libertà di parola è, però, un’arma a doppio taglio: se la si ha si rischia di abusarne, ma di certo abolirla non migliora la situazione.
Come può essere considerato un mondo in cui si rischia la vita per esprimere la propria opinione? Come si può a vivere mentre centinaia dei nostri fratelli vengono uccisi per questa causa mentre altri si danno battaglia sul web per decidere quale cantante sia migliore? Come si può vivere nei Paesi in via di sviluppo se in essi persistono questi regimi oppressivi mentre in Occidente ormai chiunque si improvvisa “sofista” in Rete? Potremo mai arrivare ad una situazione di equilibrio fra queste due realtà diametralmente opposte? Forse se ci rendessimo conto dei danni che molti post su internet, spesso razzisti o discriminatori, possano arrecare a un gran numero numero di lettori, questo sarebbe, senza dubbio un ottimo punto di partenza per un mondo, se non migliore, certamente più libero.
Giulia Vigoriti, Niccolò Bertello