Quante volte sentiamo dire dai nostri genitori, parenti o professori di smetterla di usare i social network per conoscere persone o socializzare. Ma proprio quest’ultimo verbo contiene una parola importante: il dizionario Treccani definisce il social network come un “sito web che permette la realizzazione di reti sociali virtuali, consentendo tra l’altro agli utenti […] di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro, […]”.
Onestamente per noi giovani Instagram è “tutto”, perché per essere presi in considerazione dai coetanei – anche all’interno di luoghi come la scuola – bisogna avere uno “status”, che indica la popolarità di una persona all’interno di una piramide sociale. La piramide sociale può essere divisa, secondo me, in tre livelli. Al primo livello troviamo le persone che non utilizzano i social oppure ne fanno un uso moderato (non più di dieci minuti al giorno in totale); quando frequentavo le scuole medie conoscevo poche persone non iscritte a Instagram, ma adesso credo che tutti i miei compagni lo usino. Al secondo livello ci sono gli utenti che hanno fino a 100 follower e navigano su Instagram circa un’ora al giorno. Al terzo livello ci sono le persone che, come me, hanno da 200 a 1000 follower e passano sui social in media almeno due ore e mezza al giorno; in questo gruppo troviamo la gran parte degli adolescenti, che usano Instagram anche per creare gruppi o mandarsi foto sostituendo l’ormai noioso e vecchio WhatsApp. Infatti al momento i due social più usati sono Instagram e TikTok.
I social sono fonte di importanti guadagni per le aziende proprietarie e per alcuni dei loro utenti; tanto da doversi aggiornare continuamente e proporre sempre nuovi servizi. Un caso emblematico è quello di YouTube, che dal 2005, anno della sua nascita, ha avuto un profondo rinnovamento della piattaforma. La maggior parte dei ragazzi che usa questo social non era neanche nata quando Hurley, Karim e Chen lanciarono questo sito sul quale gli utenti caricavano i propri video. All’inizio esistevano meno regole, gli argomenti non erano sottoposti a una censura così attenta, non c’erano parole proibite e non si “monetizzava” come oggi con i video. Quando tuttavia le aziende hanno cominciato ad essere le clienti più importanti e ad avere bisogno di una piattaforma priva di troppe volgarità o di contenuti controproducenti per gli affari, gli youtuber si sono adeguati, soprattutto perché lo stesso YouTube ha inserito filtri specifici che bloccano i profitti di tutti quegli utenti che non rispettavano le nuove linee guida dettate dal mercato.
Niccolò Colombini