Per la prima volta nella storia del Convitto abbiamo partecipato alla Notte Nazionale dei Licei Classici, ormai giunta alla terza edizione, che vede coinvolte oltre 350 scuole italiane. Ospiti d’onore, la scrittrice Paola Mastrocola e il suo ultimo lavoro “L’amore prima di noi”, un viaggio attraverso il mito alla riscoperta del piacere di raccontare noi stessi attraverso l’amore. A noi dell’UmberTimes spettavano gli onori di casa, e non ci siamo lasciati scappare l’occasione di trasformare l’intervista in una più ampia riflessione sul ruolo della cultura classica nel XXI secolo.
Perché il mito di Europa è il primo raccontato nel libro?
Diciamo che volevo iniziare con Zeus, e Zeus in questo mito c’è. Sapete che il libro è diviso in capitoli, la mia idea originale era di iniziare con il capitolo “L’amore è fuga” invece che con “L’amore è rapimento”, ma in realtà possiamo dire che siano due facce della stessa medaglia. Perciò possiamo dire che questa scelta sia abbastanza casuale.
Dato che il sesso è uno dei fili conduttori di praticamente tutti i miti che ha narrato, come mai non ha deciso di intitolare un capitolo “L’amore è sesso”?
Be’, avrei dovuto racchiudere tutti i miti in quel capitolo. Sarebbe stato un po’ generico. L’aspetto sessuale lo diamo per scontato. Questo è un libro molto particolare, il primo e anche l’ultimo che scriverò così. Nei miei romanzi il sesso non c’è quasi mai, viene sempre dato per scontato. Potremmo interrogarci a lungo su ciò. Io amo molto la letteratura russa ed il romanzo dell’800 cercava di evitare di cadere nella questione, mentre quello di oggi ci cade dentro appieno. Io, invece, preferisco tenermici fuori.
Il concetto di metamorfosi viene ripetuto più volte nel libro. A un certo punto ci si chiede anche quale sia la forma migliore per amare. Secondo lei, oggi, nell’epoca dei social network, qual è la forma migliore per amare?
La metamorfosi è al centro della mitologia. Nella mitologia quando tu non hai più possibilità di vivere il Dio ti trasforma, e anche lui si trasforma per amore; e questa è una forma di amore. Al giorno d’oggi la forma più comune di amare è quella virtuale: le persone si nascondono dietro uno schermo. Quasi quasi, io lo chiederei a voi… Qual è la forma migliore per amare?
Uno dei miti che abbiamo apprezzato di più è stato quello di Orfeo ed Euridice: una delle parti più accattivanti è quella in cui Euridice si rifiuta di seguire Orfeo nel mondo dei vivi preferendo rimanere nell’Ade. Da dove viene la concezione positiva della morte?
Parliamo di uno dei più grandi miti d’amore che la riguarda. Oltretutto è uno dei miei miti preferiti perché pone le basi della poesia occidentale: la mancanza. Quando sua moglie muore Orfeo va negli Inferi e convince Ade a ridargliela. Sono secoli che ci chiediamo perché lui si sia voltato. Tutti se lo sono chiesti ed è uno dei miti con più varianti di sempre. Una di queste sostiene che lui sia voltato per troppo amore. Io ho scelto una versione che ho trovato in un solo poeta, Rilke. Rilke dà questa interpretazione che io amo moltissimo: pensa che anche lei non lo voglia seguire. Ma prima di tutto vi devo dire una cosa: questo libro è semplicemente un modo per raccontare di nuovo i miti del passato. Molti l’hanno già fatto e bisogna continuare a farlo, perché non esiste una sola versione di un mito, nel momento in cui tu ne racconti uno lo modifichi un po’ e ne crei una nuova variante. A me piaceva moltissimo questa cosa che Orfeo si volta e lei indietreggia. Il mito originale, quello più famoso, ci dice che lei arretra perché lui, girandosi, ha trasgredito il patto, e se invece fosse lei a non volere più tornare alla vita perché si trova bene nel Regno dei morti?
Nel suo libro il Minotauro è presentato come una figura buona e sensibile. Da dove è nata l’idea di questo nuovo Minotauro?
Molti scrittori ci hanno dato un’immagine di un Minotauro debole. Io sono stata molto fedele scrivendo il libro, ma mi sono concessa alcune libertà. E questa è una di quelle. Il Minotauro è un figlio, è un vostro coetaneo, è un coetaneo di Icaro e quest’ultimo è inconsapevole del fatto che suo padre sia l’architetto della prigione che contiene il mostro; allo stesso modo egli stesso non sa perché ha quelle sembianze, non sa perché sua madre si sia innamorata di un toro. Perciò li ho fatti incontrare. Ho detto: “Questi hanno la stessa età, sono due ragazzi, vediamo cosa succede”. Dunque Icaro scappa, entra nel labirinto e trova un ragazzo solo, un ragazzo che ha solo voglia di giocare con qualcuno.
Per quanto abbiamo apprezzato moltissimo il suo libro, la parte che ci ha fatto discutere di più è stata la nota finale al lettore, dal titolo “Riscrivere i miti”. Lei scrive: “I miti sono storie che tutti noi conosciamo o che ci sembra di conoscere, basta un nulla per riportarle in superficie”. Secondo noi, è difficile dire che tutti conoscano questi miti e che tutti li abbiano interiorizzati. Perciò ci siamo chiesti: cosa l’ha spinta a fare un’affermazione così categorica?
Tu dici che non è vero che li conoscono tutti. Bè, mi hai toccata nel vivo. Hai toccato un punto sul quale davvero devo interrogarmi. Io uso spesso la parola “tutti”, ma temo che i miei “tutti” siano una congrega davvero molto ristretta e che mi assomiglia moltissimo… Lo stesso ho fatto con i miei libri sulla scuola, che alcuni hanno amato e altri odiato. Lì dicevo che ormai nessuno più studia. Quando dico una cosa così, cosa intendo? Io a volte uso queste categorie così in assoluto, perché sono così disperata, siccome nessuno condivide quello che dico, dando talmente tanta forza a quello che dico, che esagero. Mi interrogo sul fatto che tanti conoscano i miti… Non so rispondermi su chi non ha fatto il classico. Insomma, se voi andate dal vicino, chiunque esso sia, e gli chiedete chi sia Pigmalione magari sa che era il re di Cipro, ma il fatto che si innamorò di una statua o che a Cipro si venerava Venere? Forse questi dettagli non li conosce. Oppure Arianna. Se uscite di qui e chiedete al primo passante: “Chi è Arianna?” Secondo me lui vi risponderà: “Ah si Arianna, quella che è stata abbandonata”. Dite di no? Bisognerebbe provare. Magari la ricorderebbe come quella del filo. Forse poi non sa a chi diede quel filo o a cosa servisse, ma vabbè. Io ho una visione molto precisa del mondo che mi circonda e anche sulla scuola. Una mia idea sulla scuola, ve la anticipo, è che tutti dovrebbero fare il liceo classico. Io lo penso davvero, ne sono convinta. Non capisco tutti quelli che hanno questa paura del greco invece che del latino. Sinceramente penso che il latino sia molto più difficile. A parte questa mia personale predilezione per il greco, io penso che sia ingiusto che sia una lingua che studiano in pochi. Ritengo che ognuno dovrebbe studiarlo nella scuola dell’obbligo fino ai 16 anni. Poi tutti liberi di fare quello che vogliono. Perché se tu fino ai 16 anni ti sei misurato con la costruzione delle frasi latine, indipendentemente da che mestiere farai, saprai leggere il mondo, non sarai disarmato davanti ad un articolo o ad una poesia. Perché mai un panettiere tornando a casa non può leggere Montale? Io nella mia mente immagino tutta l’umanità che legge Montale, perché leggere Montale ti migliora, ti rende più felice. Sapete, io sono del ’58 e in seconda media studiavamo latino e leggevamo la Gerusalemme Liberata. Perché alle medie di oggi non si studia più latino e non si legge Torquato Tasso? Sapete, a 11 anni mi hanno regalato “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. Me lo ha regalato la mia vicina di casa che faceva la lattaia ed era uno dei libri tipici che si regalavano a quell’età, ed io l’ho letto, a quell’età. Noi però oggi, ad un bambino di 9 anni, non so neanche se diamo Harry Potter, che mi sembra complicato. Gli diamo lì, quel topo, com’è già che si chiama? Ah sì, Geronimo Stilton.
Nella nota finale lei dice di aver lavorato così tanto su questo libro che a un certo punto non riconosceva più nulla, tutto era diventato suo. Noi in questa frase abbiamo riconosciuto l’obiettivo del liceo classico: interiorizzare ciò che si impara. Volevamo sapere se lei ci ha pensato mentre scriveva.
-Be’, ti ringrazio molto per questa domanda. Devo dire che avete fatto una lettura davvero profondissima. Io penso che tutto ciò che uno studia vada in una parte molto profonda di sé a cui non si attinge più in modo consapevole, non si sa più dove siano le cose imparate, ma si sa che le si ha. E per questo libro vale la stessa cosa. Io ho dovuto soprattutto dimenticare ciò che sapevo per poterlo scrivere. Ed è esattamente il contrario di ciò che va fatto a scuola. Voi siete interrogati e per questo studiate, ma non vi potete permettere di far sparire ciò che avete imparato in un posto segreto di voi. Bisogna fare in modo che quella pagina rimanga a far parte di voi. Ecco perché in un mio recente libro, “Passione Ribelle”, dicevo che nessuno più studia. Noi vi stiamo allevando in modo che non abbiate più memoria. Se io avessi dovuto fare un libro colto, erudito, non avrei fatto un libro come questo. Probabilmente voi non lo avreste neanche letto perché sarebbe finito nelle mani di un pubblico ancora più ridotto di quello che già ha.
C’è una grande differenza tra la figura di mito classico e di mito moderno. Oggi il mito è il calciatore o l’attore. Pensa che dovremmo ritornare alla concezione di mito classico?
Ma certo! Vuoi mettere un attore in confronto ad Apollo? Non avrei il minimo dubbio! Anche se non userei mai la parola mito in questo senso così profano. Il mito è quello che studiate voi. Ci pensavo venendo qui, l’uomo antico non ha inventato il mito per divertirsi o perché non aveva la TV. Quelle storie erano il sapere del mondo antico. Loro si inventarono quelle storie per spiegarsi il mondo. Dicevano: “Oh, guarda è buio”. Voi sapete benissimo che il Sole non tramonta. Il tramonto è solo un’illusione, noi non lo vediamo perché ci spostiamo. Dovete capire che un uomo antico che vede il Sole tramontare sempre alla stessa ora e nello stesso posto, più o meno, non poteva non pensare ci fosse un Dio che viaggiava da Oriente, lungo una barca, su un fiume circolare che si chiamava Oceano. Come poteva non pensarlo? Dovremmo pensarlo ancora noi.
Tornando a parlare del Liceo Classico, lei cosa ne pensa del fatto che sempre meno persone scelgano di iscriversi?
Penso che sia uno dei segni più evidente della decadenza del mondo. Nella storia sono stati tantissimi i momenti di decadenza. Noi siamo nati adesso e stiamo andando a picco. Poi mi dovete spiegare se le altezze che abbiamo raggiunto con Platone, Omero e Dante le raggiungiamo ancora oggi. Ci sono tanti ambiti: se mi parlate della medicina, le cose stanno andando avanti, ovvio. Ma se parliamo del livello culturale, a cui mi sembra la tua domanda facesse cenno, io non posso che registrare un regresso. Ora, che i ragazzi non scelgano più il liceo classico è colpa della mia generazione! Spesso i genitori, ma anche gli insegnanti, li indirizzano verso qualcosa di più utile. Quando si mischia il concetto di utilità con lo studio si inciucca tutto perché c’è un momento della nostra vita in cui studiamo e andiamo a scuola, ed è un momento di inutilità, ma è la giovinezza. Io insegnavo al liceo scientifico e in prima c’era sempre lo stupido che chiedeva: “Ma perché dobbiamo studiare latino? A cosa serve?”. Ma poverino, non è colpa sua; è colpa di questa società che gli ha insegnato che ciò che non è utile non serve a niente. Uno ovviamente studiando Virgilio dice: “Ma questo a che mi serve?” Effettivamente questo non ti serve per trovare lavoro, ti serve per essere felice. Ora, io penso che la gente si iscriva poco al liceo classico perché c’è un decadimento della parte spirituale di noi e una rarefazione della nostra intimità.
Dato che non vogliamo fare estinguere gli studenti del liceo classico, come possiamo fare per, come dice lei, “ripopolare di dei il mondo”?
Uscite di qua e raccontate i miti a tutti quelli che incontrate! No, dico davvero. Se andate in pizzeria e avete degli amici che non fanno il classico, raccontate loro di Pigmalione, perché è contagioso, non può non piacere! Guardate che l’amore è contagioso, l’amore che voi avete per gli studi che fate si diffonde, è quella curiosità che anima il mondo.
Un’ultima domanda: nei capitoli dedicati a Dedalo ed Icaro lei dice che Dedalo ama suo figlio più di qualunque altra cosa al mondo, lo educa a credere che non esistano limiti e che la mente umana possa fare tutto, se educata a farlo. Questo potrebbe essere il messaggio che ci vuole dare il nostro liceo classico. La pensa come noi?
Sì, assolutamente! Esiste l’inesistente. È lì, bisogna solo dargli forma e voce. È quello che voi farete nella vita, qualunque cosa diventiate. Mica dovete per forza fare lettere classiche. Io non avrei mai pensato di fare lettere classiche all’università, ma son ben felice di averle studiate al liceo. Io andavo al D’Azeglio, e penso che il classico sia la scuola migliore, dovremmo solo convincerne gli altri.
A cura di Lisa Picatto, Emma Barraco, Andrea Gallo, Isabella Scotti, Niccolò Bertello