Terra. Da quando l’uomo ha abbandonato la vita nomade, stanziandosi in un luogo, questa parola ha assunto un nuovo significato. Non rappresenta più solo un suolo da attraversare, una risorsa da sfruttare per breve tempo, ma diventa parte della vita stessa dell’uomo. Un legame più forte lo lega ad essa, una fune robusta intrecciata di esperienze ed emozioni, persone e ricordi. Proprio perché è robusta non è facile spezzarla. I profughi sono tutti coloro che hanno dovuto farlo e la guerra si presenta come un coltello dalla lama affilata; la guerra che impregna la loro terra, la trasforma.
L’Istria era terra di Jugoslavi e Italiani. Tutti la consideravano propria e nessuno pretendeva di toglierla agli altri. Si sentivano istriani. Poi la Guerra percorse l’Europa e ne stravolse i confini.
La terra degli istriani viene aggiunta al territorio Italiano insieme al Trentino-Alto Adige e a Trieste. La dittatura di Mussolini non tollera chi è Jugoslavo: l’etnia italiana diventa unica legittima proprietaria di quella Terra. L’intolleranza esclude, emargina, perseguita il resto della popolazione: decine di migliaia di persone sono costrette a recidere la fune, ad emigrare nel vicino regno di Jugoslavia.
Poi nuovamente la Guerra, nuovamente Mondiale. Le potenze dell’Asse conquistano l’intero territorio: l’intolleranza si trasforma in repressione. Mentre in Jugoslavia si sviluppano gruppi partigiani, gli italiani si ribellano alla dittatura. Molti istriani vedono nel comunista jugoslavo Tito una speranza. Non trovano altro che un nuovo oppressore: salito al potere rovescia l’odio cresciuto fra gli Jugoslavi nel corso di anni di sofferenza, sulla popolazione ritenuta colpevole di aver dato origini all’incubo del fascismo. Ribalta la condizione degli Italiani. Li opprime, li costringe a scappare braccandoli con la paura e le repressioni. Vuole annientare i fascisti e nel farlo annienta anche numerosi innocenti. Un’altra etnia istriana è costretta a spezzare la fune che la lega alla propria Terra. Fanno le valige, portano con sé i familiari e lasciano quella Terra che veniva loro negata. Chiudono le finestre e le porte delle case, s’illudono di ritornare. Trecentocinquantamila persone appartenenti all’etnia italiana abbandonarono l’Istria. Oggi serbano nel cuore l’immagine delle loro strade, i ricordi della loro vita. Hanno trovato una nuova casa, ma l’Istria rimane la loro Terra. Ne conservano gli odori, le memorie, il sapore. Ne ricordano le persone. Coloro che pure l’hanno lasciata e coloro che vi sono rimasti. Coloro che non la lasceranno mai, che saranno per sempre parte di essa. Le migliaia di Italiani, ma prima di tutto Istriani, che la nuova dittatura ha davvero represso, gettandoli nelle viscere di quella Terra carsica. Fascisti, oppositori, nazionalisti, sloveni e croati anti-comunisti, semplici funzionari pubblici, innocenti. L’odio per la dittatura fascista si era rovesciato sugli abitanti dei territori occupati, perseguitandoli, terrorizzandoli, fucilandoli, uccidendoli, per poi farli precipitare nelle profonde gole che si aprono in quella Terra friabile, fragile: le Foibe. Vivono, insieme al sapore di quella Terra, nei ricordi di chi è rimasto, nei ricordi rinnovati ogni 10 Febbraio, Giorno dei Ricordo. Giorno per non lasciare che vinca il silenzio su chi ha dovuto partire, sradicarsi dalla sua vita, come un albero sotto la tempesta, e chi invece a quella Terra apparterrà per sempre, chi per sempre sarà parte, di quella Terra.
Federica Baradello (2F)