“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.” Nella finzione, l’autore di tali parole è Humbert Humbert: professore quarantenne di letteratura francese disposto a tutto pur di avere la sua amata per sé. Le sue sono alcune delle più belle frasi d’amore mai scritte: nascondono l’ardore della passione, descrivono l’essenzialità del sentimento e, in sole tre sillabe, l’ossessione di una vita. Lo. Li. Ta. Lolita bella, Lolita pura, Lolita bambina.
Ogni grande storia d’amore – da Paolo e Francesca a Romeo e Giulietta – è violazione. Tuttavia, nel 1955, quando Vladimir Nabokov pubblica la sua opera più importante dal tanto emblematico titolo, quasi tutto è lecito se si parla d’amore. L’amore è libertà, nessuna relazione provoca più alcun turbamento: il proprio compagno si può scegliere, l’adulterio non è punito dalla legge, ci si sposa e ci si risposa. Non è rimasto che un ultimo ed infrangibile tabù: la pedofilia. Ed è proprio questa la violazione di Lolita: una violazione che è ancora in grado di creare scalpore, l’unica capace di rendere eterna una storia come quella scritta da Nabokov. Quando il romanzo viene pubblicato per la prima volta, infatti, esso è accolto da un polverone di accuse di pornografia e pedofilia. Si tratta di accuse insensate e ingiustificate, perché frutto di un giudizio estremamente superficiale. In realtà Lolita parla del nostro mondo, della nostra vita. Dolores Haze, la dodicenne oggetto del desiderio di Humbert Humbert, la “ninfetta”, la fanciulla tanto adorabile quanto maliziosa che sta al centro della storia di Nabokov non è altro che «una bambina triste in un mondo tristissimo».
Humbert Humbert incontra Lolita per la prima volta a Ramsdale, cittadina del New England in cui si è appena trasferito. Dolores è l’unica, affascinante figlioletta di Charlotte Haze, padrona della casa in cui H.H. soggiorna. Ben presto, il colto professore sviluppa una vera e propria ossessione nei confronti della giovane, ossessione che lo spinge prima a sposare Charlotte, per cui non prova alcun sentimento, e poi alla pianificazione del suo omicidio, in modo da poter avere la piccola Lolita solo per sé. Il fato, tuttavia, lo precede: Charlotte muore in un incidente d’auto, così Humbert Humbert e Dolores cominciano un lungo viaggio per l’America degli anni ‘40, passando da hotel a hotel, da città a città senza sosta. H.H. è sempre più possessivo, Lolita sempre più ribelle. Poi, la bambina riesce a fuggire dalla prigionia in cui Humbert la trattiene e scompare per più di tre anni. Quando i due si rincontrano, Lolita, ormai diciassettenne, racconta al professore la sua triste storia: è stata sfruttata, abbandonata in mezzo alla strada dall’uomo che credeva di amare, si è poi sposata, aspetta un figlio.
Lolita e Humbert sono due personaggi che si sviluppano in parallelo, entrambi alla ricerca di qualcosa che non otterranno mai, entrambi che condividono lo stesso tragico destino. Dolores e Humbert, però, sono anche l’emblema di una società in cui ancora oggi noi tutti viviamo. Il mondo di Lolita è un mondo in cui il bene e il male sono indistinguibili, in cui, a volte, l’immorale diventa positivo e in cui persino il simbolo dell’innocenza per eccellenza, la giovinezza, si rivela come l’ennesimo ideale travisato da una società indifferente.
D’altronde, Lolita non è solo un personaggio confinato tra le pagine di un libro, ma la rappresentazione di una nuova generazione, che ai tempi di Nabokov era ancora in nuce ma che ora è nel pieno del suo sviluppo. Lolita è espressione di un disagio sociale, ma anche di una “malattia” culturale che nel XXI secolo, ancora più che nel XX, si sta diffondendo: la fretta di crescere. Bambine e ragazze, in preda alla “Sindrome di Lolita” imparano a truccarsi da giovanissime, ad atteggiarsi a vamp, a fare shopping. Non solo, vengono ritratte dai mass media come smaliziate e seducenti, “trasgressive” rispetto alle proprie tappe di crescita psicofisiche ed emotive. Inconsapevolmente o meno, infatti, cinema, televisione e social sono espressione di questo “Lolitismo” sempre più diffuso: basti pensare ai cartoni animati, in cui le eroine vengono rappresentate iperfemminili e sexy, o alle semplici bambole (ad esempio le Barbie o le Bratz) emblemi di una bellezza senza imperfezioni. Le bambine, dunque, sperimentano tutto e subito, nel giro di dodici o tredici anni diventano “adulte”, atteggiandosi come tali, comportandosi come tali, dimenticandosi della loro età.
L’età adulta, tuttavia, come ogni altra cosa, è relativa. Se dal nostro punto di vista, in quanto società europea e occidentale, una bambina di dodici anni è ancora ben lontana dall’essere considerata donna a tutti gli effetti, in alcuni paesi, come l’Iran, il Ghana, la Somalia, la Siria, l’Afghanistan e molti altri, a dodici anni le giovani sono in già età da matrimonio. In India, per esempio, il 47% delle ragazze sono sposate prima di aver compiuto i 18 anni. In Yemen sono numerosissime le spose bambine con meno di 10 anni. In Iran “È verità universalmente riconosciuta che un musulmano, a prescindere dal suo patrimonio, abbia bisogno di una moglie vergine di nove anni” (Azar Nafisi, Reading Lolita in Teheran, 2003). Per di più, ogni anno, secondo un rapporto presentato da Save the Children, 16 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni mettono al mondo un figlio, e oltre un milione diventano madri prima di compiere i 15 anni.
Dunque esistono Lolite in ogni parte del mondo. La storia di Nabokov non è che la rappresentazione inventata di una realtà attuale: tanto tragica quanto disturbante ma, seppur in contesti del tutto diversi da quello in cui il libro è ambientato, non poi tanto fuori dall’ordinario.
Lolita, d’altronde, è morta ma immortale.
Isabella Scotti