Lo sviluppo economico raggiunto dal Cile fino a oggi si basa sulla sua biodiversità: le risorse naturali rinnovabili, quelle forestali e quelle minerarie sono state la chiave della crescita del Paese. Anche il turismo, importantissimo nell’economia locale, è dovuto alla ricchezza degli ecosistemi presenti nel paesaggio naturale e culturale cileno.
Il danno alla biodiversità nazionale, che si è intensificato negli ultimi decenni, non è una novità. Scienziati di fama, come il francese Claudio Gay e i tedeschi Federico Albert e Rodulfo Philippi, già nel XIX secolo avevano provato ad attirare l’attenzione delle autorità sulle problematiche causate dalla distruzione dei boschi, dall’inquinamento delle acque e dall’erosione del suolo, senza però ottenere nessun riscontro. Nel 1970 lo scrittore Rafael Elizalde con un gesto plateale si diede fuoco nella Plaza de la Constitución a Santiago per tentare di scuotere un mondo politico totalmente indifferente all’ambiente.
Nicolas Eyzaguirre, Ministro delle Finanze nel 2000, dichiarò che lo Stato avrebbe iniziato a assumere posizioni forti in difesa della biodiversità solo dopo il raggiungimento di un PIL pro capite di 20’000 USD (attualmente si trova a 15,346 USD).
Con l’inizio del nuovo secolo, la crescente consapevolezza e la pressione da parte della popolazione hanno avuto come conseguenza la creazione di un nuovo ministero, il Ministero del Medio Ambiente. La nuova istituzione, tuttavia, per prendere qualsiasi decisione rilevante ha bisogno dell’approvazione degli altri 11 ministeri, tra cui quelli che più danneggiano l’ecosistema cileno: edilizia, opere pubbliche, miniere, trasporti e agricoltura.
In sostanza, in Cile come nel resto del mondo domina la convinzione che una politica di protezione ambientale non possa convivere con un’economia in crescita e con lo sviluppo di un paese. Ma quanto è vero questo?
Per capirlo è fondamentale distinguere chiaramente i concetti di crescita economica e sviluppo. Il primo, che è una semplice analisi quantitativa di ricchezza, produzione e consumo, è inglobato nel quadro molto più ampio del secondo, il quale valuta il progresso dell’umanità non solo in ambito economico, ma anche sotto punti di vista riguardanti politica, società, scienza e tecnologia.
Chiarito questo, è evidente come la crescita economica non possa essere ecologicamente sostenibile per il semplice fatto che l’ambiente non ha valore di mercato: abbattere una foresta per farne una piantagione è chiaramente più proficuo -a breve termine- che investire in ricerche per poter fare la piantagione nel deserto, i numeri parlano chiaro. In relazione allo sviluppo sul lungo termine, però, le cose cambiano: l’abbassamento della qualità dell’aria, l’inquinamento delle acque, i danni alla fauna, il rischio di frane sono solo alcune delle conseguenze che porterebbe tale deforestazione, danneggiando consistentemente la qualità della vita nell’area interessata.
Quando la crescita economica viene ricercata in maniera cieca, come unico fine e non come piccola parte di un generale progetto di sviluppo, diventa un ostacolo –se non un limite– al progresso umano. Questo perché l’Uomo, per quanto se ne senta superiore, è ancora completamente dipendente dall’ecosistema in cui vive. Abbiamo bisogno che le condizioni su questo pianeta siano favorevoli per continuare a sopravvivere, ma stiamo facendo di tutto per renderle incompatibili con la nostra esistenza.
Abbiamo perso di vista la nostra scala di priorità, ci stiamo confondendo su cosa sia davvero importante e cosa no: da un lato c’è la Natura, dall’altro la crescita economica. È evidente che tra queste, una è superiore a noi e regola la nostra esistenza, mentre l’altra è un qualcosa che noi abbiamo creato, nato per essere un attrezzo in mano all’umanità ed è finto ad essere una venerata divinità che regola ogni nostra azione.
Grazie a questa mentalità siamo arrivati al limite, al punto in cui o invertiamo la rotta o siamo persi per sempre, al punto in cui, come dice l’attivista svedese Greta Thunberg, dobbiamo agire come se la nostra casa stesse bruciando, perché lo sta facendo.
Gabriele Pujatti, corrispondente dal Cile