Siamo in un periodo di crisi. Le prime pagine dei giornali del mondo intero ormai non parlano d’altro. Facile chiedersi se fosse una situazione evitabile, altrettanto semplice è colpevolizzarsi a vicenda per non essersene accorti, per non aver reagito. Le prime avvisaglie si sono presentate nell’aprile 2009, a seguito della crisi del subprime originatasi negli Stati Uniti. In parole povere, per quanto queste siano poco adeguate alla gravità della situazione, si trattava di una perdita delle banche e delle altre istituzioni finanziarie a livello mondiale, originatasi già nel 2006 quando le bolle immobiliari statunitensi avevano cominciato a sgonfiarsi. All’epoca gli economisti italiani annunciavano una recessione che, protraendosi fino al 2010, avrebbe portato ad un’ingente diminuzione del PIL e ad una variazione annua dei posti di lavoro negativa dell’1,4%. Nel mondo intero la crescita era stimata essere la più bassa dal 1945, l’anno della fine di uno dei conflitti più sconvolgenti della storia dell’umanità.
«Un rilancio sostenuto dell’economia non sarà possibile fino a quando la funzionalità del settore finanziario non sarà restaurato e il mercato del credito non sarà sbloccato», diceva il Sole24Ore. La domanda che sarebbe interessante porsi è dunque: quali misure sono state prese dal governo all’epoca e nel presente per contrastare una crisi di tale portata, sapendo che il Paese entrava nel biennio di recessione essendo già debole dal punto di vista finanziario?
Le politiche messe in piedi allora avrebbero dovuto, secondo le stime, produrre dei miglioramenti entro la fine del 2009, per poi portare addirittura ad un incremento del PIL del 3,3% nel 2010.
All’alba del novembre 2011, gli Italiani, invece, osservano la Grecia scivolare lentamente verso la bancarotta e chiedono certezze al governo che, guidato dal premier Silvio Berlusconi, riceve aspre critiche e richieste di dimissioni da parte dell’opposizione. Per nostra fortuna, i politici non sono andati in vacanza quest’anno, impegnati com’erano a discutere della manovra di ferragosto, definita urgente da Berlusconi e Tremonti, la quale mirava ad ottenere un risanamento del bilancio entro il 2013. La manovra, rivista poi altre quattro volte, ora si presenta come la “manovra finanziaria bis” e, dopo aver ottenuto la fiducia dal Parlamento, è in via d’approvazione alla Camera. Si tratta di un provvedimento da ben 54,262 miliardi di euro, incentrato prevalentemente sulle entrate, le quali provengono, per farla breve, dalle tasche degli italiani. La manovra può essere riassunta in una serie di punti, quali l’aumento dell’IVA, un “contributo di solidarietà” prelevato dalle famiglie con reddito più elevato, l’aumento dell’età pensionabile per le donne che lavorano in settori privati (previsto per il 2014) e la trasformazione delle province in “città metropolitane”.
Tutto ciò dovrebbe dare liquidità allo Stato, che viene definito da Tremonti stesso un “Titanic in preda ad un mare impetuoso di debito pubblico e, ahimè, colmo di milioni di passeggeri, tutti gli Italiani: tutti in balia di un unico, ineluttabile e oscuro destino”. L’ottimismo è il profumo della vita, ne siamo sicuri?
Eleonora Rossi (5B)