Uomini che esplorano le profondità siderali dello spazio, uomini che volano, uomini che vanno oltre la velocità del suono, uomini che corrono più forte del vento.
Cosa c’è oramai che l’uomo non può fare? Ha fatto tutto ciò per cui non siamo stati creati ed anche di più.
Dante ci avrebbe condannati tutti, dal primo all’ultimo, ci avrebbe fatto bruciare tra le fiamme dell’Inferno, compagni di barbecue di Ulisse, che come noi ha tentato di sfidare Dio, di avvicinarglisi. E noi, da bravi allievi, abbiamo imparato dagli errori del maestro, nel senso che abbiamo fatto di più, che siamo saliti più in alto.
Il bandolo della matassa non è sfidare Dio, ma piuttosto ci si dovrebbe chiedere: fino a che punto possiamo spingerci? Se c’è un limite, qual’è? Fino a che punto possiamo sfidare la natura? Possiamo davvero arrivare a conoscere i misteri dell’esistenza? Oppure ad un certo punto dovremo arrenderci davanti a qualcosa più grande di noi? O siamo noi a doverci dare un limite, a dover decidere quando basta, quando siamo troppo in alto, quando ci troviamo nel punto in cui cadere significherebbe morire?
Ma allora, nella nostra sconfinata sapienza di essere dominante sul pianeta, che mangia mele tutti i giorni, dovremmo conoscerlo. Ma non lo sappiamo. O meglio, non lo vogliamo sapere. Perché siamo noi: è la nostra natura a spingerci sempre più in alto, dove l’aria è più rarefatta, dove possiamo cercare di vedere l’insieme delle cose. Ma non è solo la fame di conoscenza a spingerci a cercare: quella non ha bisogno di freni. Quella che ci spinge ancora più in alto è una fame diversa, invidiosa, morbosa, che sfocia nella cupidigia: è la fame che ha bisogno di freni, ma che anche se frenata, alla conclusione di tutto, finirà per distruggerci. È la fame di potere.
E allora, ve lo chiedo di nuovo: fino a dove vogliamo salire?
Davide Costa (2H)