Massimo

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brao_ alessandro

Massimo – nome di fantasia – si alza ogni mattina alle sette. O meglio, vorrebbe: in realtà, per essere precisi, si alza alle sette e trenta, si veste in fretta, versa un doppio caffè in una tazza, bestemmia e si catapulta fuori di casa.

Massimo è in ritardo, si rovescia metà caffè addosso e lascia passare un tram controvoglia, giusto per non essere investito. Nelle orecchie di Massimo rimbombano i toni dei Sex Pistols e dei Ramones, dalla sua bocca escono qua e là pezzi di brani accennati.

Massimo finalmente arriva a scuola, entra in classe trafelato e si prende l’ennesimo ritardo – di ben tre minuti e zerosette secondi, gravissimo – da giustificare. Che poi, chissenefrega – il termine forse non era esattamente quello, ma dettagli – tanto i ritardi se li giustifica da solo: figuriamoci se ai suoi importa qualcosa, è già così un fallimento per tutti.

Massimo barcolla verso il banco, la testa gli scoppia, forse ha fumato troppo la sera prima. Massimo crolla sulla sedia. Vicino a lui la sua vicina di banco, Alice, lo guarda con stampata in faccia la solita espressione di falsa pietà, poi gli ruba il caffè che resta. Massimo non riesce a concentrarsi.

Non gliene può importare di meno, di cosa borbotta – a dirla tutta, strilla – la professoressa: la matematica gli piace, la fisica, insomma, pure, ma quello che non gli piace è l’insieme, il tutto; i libri, le pretese, gli appunti, i voti. Massimo non ha ancora la maturità per farlo, ma se l’avesse si chiederebbe coma mai sappia a memoria tutto The Bollocks, ma non riesca a imparare la declinazione di ἐλπίς. Speranza: che bella parola.

Una volta Massimo era un motore a due tempi, che andava avanti con una miscela speciale di speranza e ardore. Poi, con il tempo, si sono tramutati in amarezza e delusioni. Massimo vorrebbe poter ascoltare la musica, bere caffè e bruciarsi i bronchi con i suoi amici in ogni momento. Sogna di diventare un avvocato di successo, in parte perché lo fanno i suoi, in parte perché “boh”, in parte perché – ammettiamolo – paga molto bene. Massimo sa che dovrebbe impegnarsi e ogni tanto lo fa: studia per giorni, a volte. Poi torna alla cattedra e riesce a prendere un bel quattro più – d’incoraggiamento, forse – perché sì, è vero, le cose le conosce, ma non le sa esporre e poi – parliamoci chiaro – è pur sempre Max, che non potrà mai prendere più di sette, anzi, sei. Massimo vorrebbe poter ripartire da zero, essere uno studente qualunque. Invece è la “capra”: quello che in prima liceo ha fatto finire Ulisse dal vecchio e fidatissimo “porchettaro”. Chissà, forse se cambiasse scuola …

Chissà, chi non sa, se trovasse il tempo per ricominciare – ma stavolta per bene – potrebbe far credere a tutti di essere cambiato. Il dramma è che non ci crede piú neanche lui: i voti dipendono dall’impressione che fai, quando decidono che vali quattro, poi sei quello. Faresti prima a tatuartelo in faccia «io valgo quattro: non datemi un lavoro, supponete che sappia solo girarmi le canne e, magari, datemi un calcio se arriva la polizia. grazie».

Massimo ha sprecato due anni. Gli dicono che adesso potrà rifare l’anno, che non è la fine del mondo, ma in cuor loro sanno bene che ha passato e passerà ore sui banchi senza un vero scopo. Vorrebbe seguire il suo cuore, ma verrebbe cacciato di casa subito, poi non saprebbe che fare.

Massimo esce dalla classe, si accende un’altra sigaretta e va avanti con la sua vita. Massimo continua a spaccarsi la testa sui banchi e sprecare momenti preziosi, tanto per lui le carpe sono pesci e il diem è una storpiatura del nome dell’Altissimo, proprio quello che a lui piace tanto accostare ad animali da cortile vari. Massimo non lo sa quale sia la scuola che vorrebbe, ma sa che quella che frequenta non lo è. Massimo suppone che la scuola per lui non esista e conclude di non desiderarla affatto, una scuola. Massimo presume di star sprecando la sua vita e si ripromette di fare qualcosa per cambiare, poi capisce di essere troppo pigro e che la routine tutto sommato gli va bene. Massimo va avanti, e si limita a infilare qua e là nella noia quotidiana qualche follia, qualche piccola emozione. Massimo , alla fine, è un qualunque sedicenne svogliato – per la cronaca, ci starebbe bene anche scazzato – che non ci crede abbastanza.

Massimo è felice, Massimo è triste, Massimo è stufo, Massimo è forte, Massimo è cattivo, Massimo è bravo, Massimo è bello, Massimo ha i brufoli, Massimo è vivo, Massimo è morto.

Stella Camilla Brao

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