Memorie divergenti

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Tre mesi passati evitando con cura di pensare a cosa sarebbe successo se non ci fosse più riuscita. Lui non c’era. Quest’assenza, che prima le pesava come se la sua vita fosse improvvisamente stata priva di metà del suo senso, ora sembrava una liberazione.  Non usciva più. L’aria fredda dalla finestra aperta, ogni giorno un po’ più dolce, la invadeva. Una sensazione di libertà: pensare di avere ancora del tempo per rimandare, per evitare di occuparsene proprio quel giorno.

Desideravo così tanto essere libera da quel pensiero che mi ero quasi convinta che non ci fossero problemi.   Davvero credevo di poter evitare il problema senza che quello affondasse ancora di più le sue maledette radici dentro di me? Non lo so, però è quello che è successo.

Ogni mattina la luce nella stanza la privava del grande peso, che l’aveva accompagnata per tutta la notte. Era l’unico momento della giornata in cui il controllo dei suoi sentimenti perdeva ogni coordinata. Faceva ogni notte lo stesso sogno. Si alzava di scatto,  quando la sua bocca cominciava a vincere la sua resistenza.

Per tutto questo tempo ho  attribuito il sogno al desiderio, ho cercato di convincere me stessa che non avesse nulla a che fare con le sue lettere e quello che mi era successo. In fondo probabilmente il desiderio di averlo di nuovo con me c’era. Una fottuta paura che da sveglia reprimevo, ma che  nel sonno vinceva l’amore che sentivo nelle sue parole.

Adesso che la realtà è fin troppo vicina, la paura è così forte che in qualche modo la rende lucida. Si è preparata a questa serata con una cura insolita. Ha perfezionato il suo corpo, nei minimi dettagli. Vuole dimostrare che tutto accadrà secondo i suoi piani, che tutto è sotto controllo.

Stasera lui ha percepito il mio malessere molto prima di me. Continuavo a nascondermelo ridendo. Gli chiedevo dei mesi che aveva passato lontano.

Dopo cena, quando l’ha abbracciata, si è resa conto che non era come prima. Sentendo le braccia attorno alla vita, le mani che le accarezzavano la schiena, doveva sforzarsi di non staccarsi da lui per scappare. Non voleva rovinare tutto, ammettere che questa paura fosse più forte di lei o del loro amore. Si incolpava di non essere abbastanza forte.

Mi ha chiesto se stessi bene, e nel suo sguardo ho letto la conferma che non ero capace di controllare un bel niente. Lui percepiva il mio malessere. Mi sono arrabbiata ancora di più con me stessa, non potevo tollerare che tutto mi stesse sfuggendo di mano, che non fossi stata capace di controllare questo maledetto terrore.

Adesso la loro serata insieme, la prima dopo sei mesi, sarebbe stata rovinata e sarebbe stata solo colpa sua.

Stupida che non riuscivo a controllarmi.

Da come la teneva tra le braccia, baciandole il viso, si rendeva conto che doveva essere trasparente ai suoi occhi. Si era reso subito conto di tutto. Soprattutto che doveva farla crollare se voleva che accettasse il problema. E lo affrontasse.

Nel momento stesso in cui ha cominciato a svestirmi ho sentito una scossa nella spina dorsale.

Ormai il suo malessere era evidente. Ogni suo tentativo di controllarlo era inutile e lei se ne rendeva perfettamente conto.

Non riuscivo a non provare una repulsione per tutto ciò che stava accadendo e soprattutto per il mio corpo.

Si sentiva di nuovo sporca e le sembrava di essere priva di difesa come in quei primi giorni.

E il mio terrore cresceva, perché mi rendevo conto che in realtà non avevo superato nessuno di quei problemi che credevo di aver già risolto.

Non riusciva ad allontanare il ricordo del dolore che aveva provato sentendo un altro corpo entrare dentro il suo con violenza, della repulsione che aveva sentito per quelle mani che la immobilizzavano contro il muro, del disprezzo che per giorni aveva provato per il suo corpo. Le sembrava che avesse ancora su di sé quell’odore odioso di desiderio senza amore.

Le sue braccia mi hanno restituito una calma profonda, che non sentivo da molto tempo.

I suoi muscoli contratti pian piano si rilassavano e la sua pelle godeva del contatto con quella di lui. Ma ancora non si sentiva libera, in colpa per avere rovinato la loro prima serata insieme.

Ho alzato lo sguardo, mi ha sorriso. Amore mio, mi diceva, chiudi gli occhi adesso. Mi sono resa improvvisamente conto di essere stanchissima, e ho chiuso gli occhi.

Lui la stringeva a sé, cominciava a cantare piano una canzone delle loro, le parole nella sua testa volavano tra i pensieri cupi e lei li sentiva sciogliere, più leggera. Lui cantava una canzone dopo l’altra, abbracciandola forte. Finita la melodia, lei ha aperto gli occhi e lo ha visto guardarla.

 Amore mio, mi diceva, non è colpa tua. Io ti amo.

Non vorrei lasciarmi andare ma è evidente che stasera non riesco più a controllare niente.

Cominciava a piangere a dirotto come non aveva più fatto dalla notte in ospedale, quando solo il pensiero che c’era lui  la tratteneva dal saltare oltre  il davanzale di marmo freddo.

Pian piano le lacrime lasciavano il posto a una stanchezza infinita. Mi sono addormentata appoggiata al suo petto, come ho fatto tante altre volte.

Quando si è svegliata lui la stava guardando. Per la prima volta nella notte sentiva davvero il desiderio di baciarlo, di stringersi a lui.

Le nostre labbra e i nostri corpi si sono toccati  e ho provato  soltanto una gioia infinita; tutto mi è sembrato un incubo, ancora nitido e bruciante.

 

Chiara Murgia (2C)

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