Forse High School Musical non è solo un film; non è solo al cinema che si possono vedere cheerleaders, balli della scuola, giocatori in divisa, sfide di ballo nella pausa pranzo. Certo, il protagonista questa volta non è Zac Efron e non si tratta di un musical, ma per il resto non c’è molta differenza. Nel sud della California, a meno di un chilometro dal mare e circondata dalle palme, si trova l’Oceanside High School, frequentata da 2160 studenti (non un gran numero per gli standard americani).Sembra di vivere in un sogno.
Perdersi, soprattutto nei primi giorni, è molto facile. Come in ogni scuola americana, infatti, sono gli studenti a cambiare classe ed eventualmente edificio dopo ogni lezione, ogni professore ha la sua aula, che arreda a suo piacimento. Sembra davvero di essere in paradiso: poter prendere una boccata d’aria fresca ogni ora, fare una passeggiata… Peccato che il meteo sia piuttosto variabile e che anche in California piova (e non poco!). Ogni indirizzo ha un edificio: scientifico, artistico e linguistico. E dato che in linea di massima si sceglie un corso per ogni indirizzo, ogni 57 minuti, che ci sia il sole o un temporale, 2160 studenti corrono da una parte all’altra del campus. Poter scegliere i corsi che si vogliono seguire rende le scuole americane molto diverse da quelle italiane, nelle quali, dopo aver scelto l’indirizzo, non si possono cambiare o decidere le materie da fare. Questa caratteristica della scuola americana è positiva, da un lato, perché si è certi di studiare qualcosa cui si è interessati; dall’altro, però, può capitare che non vengano approfonditi argomenti fondamentali.
Essendo Oceanside molto vicina al Messico, il 46.1% degli studenti è ispanico, mentre il resto è costituito da asiatico-americani nonché da minoranze di afroamericani e bianchi. Oceanside è sede di una delle più grandi basi militari degli Stati Uniti, Camp Pendleton. Perciò molti dei ragazzi fanno solo una parte del loro percorso scolastico in questo campus e ogni mese ci sono studenti in entrata e uscita, poiché quasi tutte le famiglie di marines devono trasferirsi ogni tre anni. Tutto ciò ha sicuramente dei pro e dei contro per un exchange student: da un lato il non sentirsi osservato, l’essere uguale a tutti gli altri è positivo; dall’altro l’essere poco considerati dagli studenti locali, abituati a vedere persone nuove, è una cosa difficile da digerire. In questo senso, l’accento italiano viene in nostro soccorso: quando sentono Europa, Italia, pasta, pizza, gli studenti americani iniziano ad interessarsi un po’ di più e a fare qualche domanda.
Il sistema scolastico italiano, al di là della preparazione che offre, è d’aiuto anche dal punto di vista delle relazioni: avere le stesse venti persone intorno per nove mesi l’anno, cinque giorni a settimana, sei ore al giorno, fa sì che, volenti o nolenti, si instauri un rapporto forte. Invece, cambiare sempre classe e vedere 240 volti diversi ogni giorno rende il processo indubbiamente più lento. Senza dimenticarsi delle differenze culturali tra europei e americani; i “rumorosi” italiani, quando si tratta di accoglienza, sono sicuramente più bravi.
Chiara Amberti, corrispondente dagli Stati Uniti d’America