La lingua si evolve. Spesso è una rivoluzione che parte dal basso e che soltanto in seguito viene legittimata dalla letteratura e dalla grammatica. Negarlo è una posizione reazionaria. Loquerisne linguam latinam? No.
La maggior parte dei cambiamenti di questi ultimi anni è di natura puramente grafica: scrivendo “ankora” al posto di “ancora” non si varia né la pronuncia, né il senso della parola. La storia della scrittura è ricca di cambiamenti di questo genere: pensiamo al turco, che all’inizio del secolo scorso è passato dall’alfabeto arabo a quello latino. Talvolta, poi, le innovazioni rispondono ad un preciso bisogno. La sostituzione di C con K risolve un problema che ci assilla fin dalle elementari: C dolce o C dura?
Alcuni, in più, temono che il linguaggio senza vocali degli sms si possa via via trasferire a registri linguistici più elevati. Anche in questo caso, però, non saremmo di fronte ad un unicum: l’ebraico, lingua ben più antica dell’italiano, è privo di vocali. Altri ritengono che la lingua di Manzoni sia messa in pericolo dai vocaboli di origine straniera. In molti casi, tuttavia, sono l’unico modo che abbiamo per comunicare un nuovo concetto. Web, derby, spread, computer sono solo alcune delle parole che non sapremmo dire altrimenti.
Dobbiamo imparare che le lingue vive non sono magnifiche cattedrali nel deserto, ma strumenti attuali di comunicazione.
Negare che, però, ci sia un problema non sarebbe affatto lungimirante. Più che preoccuparci di come si comunichi, dovremmo occuparci di cosa si trasmetta sia attraverso il linguaggio sia attraverso altri mezzi di comunicazione come l’arte e la musica. Mai prima d’ora l’uomo ha potuto comunicare così rapidamente e così ampiamente. Grazie al web e ai social network notizie, idee e pensieri viaggiano da un continente all’altro in pochi secondi. Una prova di queste eccezionali potenzialità è stata la primavera araba che negli scorsi mesi ha portato alla caduta del regime di Gheddafi in Libia e al crollo di governi non democratici in Tunisia ed Egitto. Questa rivoluzione è nata proprio fra le pagine di blog e social network.
In Occidente, invece, siamo di fronte ad un impressionante decadimento della comunicazione scritta. Colpisce la notizia che nel 2007 un quarto dei giovani tedeschi che terminavano l’equivalente dei nostri istituti professionali fosse analfabeta. C’è da chiedersi come ciò sia possibile nell’era di Facebook di Twitter e dell’iPad.
La risposta è che stiamo passando (o meglio tornando) ad una comunicazione “per immagini” e non più “per parole”. La diffusione della televisione e di internet ha aumentato a dismisura la quantità di filmati ed immagini di cui possiamo fruire ogni giorno. Ciò ha limitato la lettura di giornali e romanzi in favore di film e telegiornali. Di conseguenza anche i contenuti sono cambiati in funzione della comunicazione. Oggi prima vediamo un cantante e poi ascoltiamo il suo brano. Nell’Ottocento leggendo un romanzo di Salgari il lettore era obbligato ad immaginare la Malesia. Oggi grazie all’immagine vediamo passivamente sul set di un film: oggi la comunicazione è più immagine e meno immaginazione.
Non dovendo più astrarsi, la mente si fossilizza sul quotidiano, sul presente, su ciò che possiamo ottenere con un semplice click e senza il minimo sforzo. Non si pensa più alla propria vita interiore, ma solo a quella esteriore. All’immagine, appunto.
Rispetto al passato abbiamo una miriade di occasioni per comunicare agli altri, ma non troviamo quasi nessuno che sia disposto ad ascoltare. Gli unici che al giorno d’oggi sono ancora disposti ad ascoltare sono gli psicologi.
Dante, Michelangelo, Mozart, Leonardo sono stati grandi artisti e grandi comunicatori. Se nessuno avesse saputo ascoltare od ammirare le loro opere, il loro lavoro a nulla sarebbe valso.
La comunicazione vive solo se ci sono un emittente ed un ricevente. Senza è morta: la stiamo uccidendo noi non ascoltando.
Valerio Pace (3D)