Napoli: il mondo perduto dei bambini

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paranzaContrariamente a quanto si pensi di solito, la Camorra è un fenomeno criminale che vede come protagonisti attivi non solo gli adulti ma anche dei ragazzi nei primi anni dell’adolescenza, che spesso hanno l’aspetto di bambini.

Come dice Roberto Saviano nel suo penultimo romanzo, “La paranza dei bambini”, «la parola “paranza” viene dal mare». Le paranze sono barche usate per la pesca a strascico. La Camorra, però, usa il termine in modo diverso. In gergo camorristico, la paranza va a caccia di uomini, non di pesci. E li fredda, senza pietà.

Nel sequel di questo romano, intitolato “Bacio feroce”, si parla di una paranza di bambini che controlla le piazze per lo spaccio di droga. Il libro è un’invenzione del suo autore, ma le piazze in cui spacciare sono reali, e anche le paranze di bambini. I boss giovanissimi esistono davvero. Uno di loro si chiamava Emanuele Sibillo. È morto a diciannove anni in sella alla sua moto mentre cercava di vendicarsi per il ferimento di tre suoi compagni. Il suo braccio destro era Antonio Napoletano ‘o Nannone: due anni di prigione per essere stato il baby killer della “paranza dei bambini” e poi ha scontato il resto della pena agli arresti domiciliari.

Per arrivare così in alto, però si inizia dal basso. Qualche intimidazione, consegne di pacchi di droga. Poi ti danno una pistola e ti dicono di uccidere qualcuno. E tu lo fai, perché nei quartieri difficili della città in cui vivi gli omicidi sono all’ordine del giorno. All’inizio forse è difficile, ma poi nulla è più un problema. Si passa da una vittima a due, poi a tre. Si va avanti fino a quando non bastano le dita di due mani per contarle. E il giorno successivo via a scuola, per raccontare agli amici ciò che hai fatto, per insegnare agli altri «come stare sulla piazza senza farsi ammazzare».

– Ua’, – disse ‘o Pagliaccio. – Bellissimo essere bambini in questa città. Chi ti tocca diventa fragile. Chi ti fa male si fa male. Il massimo. Pure io voglio tornare bambino. –. “Questa città” è Napoli. Secondo il Pagliaccio, personaggio del “ciclo della Paranza”, la mafia non uccide i bambini. Uccidere un bambino significa essere deboli, non riuscire a sbarazzarsi di loro in altro modo. Non far paura nemmeno ai più piccoli. Questi bambini, però, non sono bambini come gli altri. Loro non hanno paura. Sono giovani cresciuti in luoghi di guerra, dove i rivali non discutono a parole, si sparano addosso. Bambini «cresciuti all’ombra dei clan e dei cattivi maestri, pronti a morire o uccidere». Non si nascondono, anzi, sono fieri di essere ciò che sono. Si sentono potenti, invincibili, perché a Napoli la Camorra non uccide i bambini. Li usa.

Il loro sangue è come sangue di un angelo. Sono intoccabili e pericolosi. Questo, però, non è abbastanza per trattenere le pallottole, le lame, le bombe. Perché un bambino può uccidere un altro bambino. E non c’è soldato migliore di uno che uccide senza fare domande e che nessuno può toccare. Nei quartieri di Forcella, Maddalena e Tribunali non ci sono più solo atti di criminalità, c’è una guerra in corso. E non finirà fino a quando non saranno tutti morti o in prigione.

Spesso la realtà supera la fantasia e la fiction tracima nella cronaca. L’8 marzo 2018 il clan dei “capelloni”, assoluto rivale della “paranza dei bambini”, risulta quasi sconfitto. Il gruppo di fuoco responsabile della morte di Emanuele Sibillo è stato condannato all’ergastolo: Gennaro Buonerba, Antonio Amoroso, Luigi Criscuolo e Antonio Manna. Tutti membri dei “capelloni”; tutti minorenni; tutti assassini. E ora che i bambini delle due fazioni rivali non sono più in circolazione, la guerra dovrebbe finire. Non finirà mai, però. Nuovi baby boss sono sempre in agguato, pronti ad impadronirsi di tutto con estrema ferocia. Si prendono droga, piazze, potere. Ormai, questo sembra essere diventato l’unico scopo della loro vita. «Oggi, per questi ragazzi il motto è: vivi il meno possibile, nel miglior modo possibile e ottieni quello che puoi senza doverlo costruire» spiega Saviano in un’intervista. La vita non serve a niente, se non a fare soldi.

Non voglio il bacio sulla guancia che si prende l’affetto. Non voglio il bacio sulle labbra che si prende l’amore. Voglio il bacio feroce che si prende tutto. Queste le parole di Nicolas Fiorillo ‘o Maraja, protagonista indiscusso dei due romanzi, che ha combattuto per guadagnarsi il posto di re di Forcella. Il bacio feroce, però, si è preso davvero tutto. La sua vita, per cominciare. E poi anche quella di tutti i suoi amici. I bambini, infatti, non restano bambini per sempre, e anche se per un po’ sono off-limits, presto non lo saranno più.

A quel punto, nulla li potrà più salvare.

Isabella Scotti

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