“Nati dalla stessa madre”: la parola ai DDR!

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I DDR di Roma

I DDR di Roma

Mercoledì 5 maggio.

Siamo seduti comodamente sulle poltroncine rosse del Palazzo delle Feste. Il palco viene allestito con una quindicina di percussioni. Improvvisamente veniamo investiti da un’onda di energia pura. Il ritmo incalzante ci risveglia dal torpore che fino a quel momento si era impossessato di noi. Si esibiscono i ragazzi del Convitto Nazionale per sordi di Roma.

Comincia l’esibizione. I musicisti entrano in scena uno per volta, cominciando a dare corpo a una musica dal ritmo eccezionale. Ormai conquistati dalla sagacia dei musicisti ci lasciamo coinvolgere in una serie di trenini che si diramano saltellanti per la sala.

Ridiamo, cantiamo, battiamo le mani, questi ragazzi dal talento formidabile ci regalano il momento più bello ed emozionante della serata.

Al termine del concerto ci appelliamo all’esperienza del rettore del Convitto per intervistare alcuni dei ragazzi.

Li troviamo ad attenderci fuori dalla sala. Cominciamo a porgere le prime domande, che la direttrice spigliatamente traduce in LIS, linguaggio dei segni. I ragazzi si dimostrano impazienti di rispondere….

All’inaugurazione delle Convittiadi hanno introdotto la vostra esibizione spiegando approssimativamente come fate voi a suonare le percussioni. Ecco, potreste darci qualche dettaglio in più?

Ci risponde Massimo Aquilino: “Noi riusciamo a suonare appunto grazie alle vibrazioni che rimbombano all’interno dei tamburi, riusciamo a percepirle. Naturalmente dobbiamo studiare il ritmo, la matematica per riuscirci. Dobbiamo prestare molta attenzione e seguire il nostro maestro che ci fa capire se il ritmo della musica è lento o veloce.

Il maestro ci ha aiutati a riuscire a individuare il ritmo, spiegandoci che noi lo possiamo tenere camminando: se si fanno passi più brevi, il ritmo sarà più veloce, mentre se i passi sono più lunghi sarà più lento.

Cosa rappresenta per voi la musica?

Con un sorriso Chiara Ciadotti ci risponde: “È facile questa risposta!”

Interviene prontamente Rosario Ahmad: “La musica è la vita! Noi siamo nati dalla stessa madre che è la musica.

Quando vediamo che il pubblico apprezza la nostra musica e partecipa cantando e ballando alla nostra esibizione, siamo emozionatissimi!”

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Massimo, Chiara, Rosario e Antonella dei DDR

Come mai avete deciso si iniziare a suonare?

Ci risponde Chiara Ciadotti: “Ognuno ha fatto una sua scelta diversa. Io, per esempio, fin da piccola suonavo il tamburo,in seguito però ho smesso e ho ricominciato con le percussioni quando mi sono iscritta al Convitto. Ora suono la batteria.”

Rosario aggiunge : “Tutti i componenti del gruppo dei DDR sono artisti dalla nascita. Il Convitto ci ha dato l’occasione di capire che noi possiamo praticare questa arte. Siamo ragazzi che proveniamo da tutta Italia per iscriverci a questa scuola specializzata. Ci siamo ritrovati e abbiamo deciso di fondare il gruppo che si chiama DDR, cioè Deaf Drummers’ Road, puntualizziamo che noi intendiamo “road” come la strada che ci ha portato al convitto, non perché suoniamo per strada! Abbiamo inventato questo nome due anni fa.”

È difficile per voi suonare tutti insieme?

Ancora una volta ci risponde Rosario: “C’è chi è più bravo e chi lo è meno. Suonare tutti insieme è tanto difficile per noi quanto per gli udenti…”

Il rettore, vedendo che l’intervista è terminata, incalza chiedendoci di fare una domanda a Antonella Conflitti, una ragazza timida, che fino a quel momento non aveva risposto. Ce ne suggerisce una, informandoci che qualche tempo fa Antonella era stata intervistata dalla Rai. Alla domanda “Cosa provi tu quando suoni?” aveva dato una risposta bellissima: “Lo sento nel cuore. Ormai i componenti del gruppo sono per me come fratelli. Questo è il successo più grande della musica e del progetto.”

L’intervista a questi ragazzi talentuosi termina. Ci accomiatiamo complimentandoci ancora una volta per la magnifica e travolgente esibizione.

Il maestro è nei paraggi, non ce lo lasciamo sfuggire.

Come è nato il progetto di creare questo gruppo musicale?

“Dunque l’idea è nata più o meno una decina di anni fa in occasione di un laboratorio di teatro e musica che ho fatto a Roma con i ragazzi sordi. Durante l’esperienza ho conosciuto alcuni di loro e da lì mi sono ripromesso di riprendere un giorno a lavorare con loro solo con la musica. Ora sono tre o quattro anni che andiamo avanti con questo laboratorio che dà frutto a esibizioni come quella a cui avete assistito questa sera.”

Quanta fatica e quanto tempo impiega per ottenere questi risultati?

“Beh” Ci risponde con una smorfia di soddisfazione: “Richiede tantissima fatica, altrettanta pazienza e anche molto

Sergio, il maestro, con le nostre inviate

Sergio, il maestro, con le nostre inviate

 tempo. E’ un lavoro piuttosto difficile, ma che ti gratifica e ti dona grandi emozioni.”

Quante volte vi incontrate a settimana?

“Ci vediamo due volte a settimana per due ore. Abbiamo due gruppi musicali: uno per principianti e l’altro per avanzati. E’ da quest’ultimo che nasce il gruppo DDR.”

Cosa prova quando li vede suonare?

“Per me è un’ emozione continua. Io con loro ho un rapporto quotidiano, sto con loro quasi sempre… Loro sono una comunità e riuscire ad entrarci è stato per me un grande onore…”

Perché, è difficile riuscire a entrarci? Quali possono essere gli ostacoli?

“Beh non è scontato riuscire ad essere accettati, non è così semplice. Per gli ostacoli il discorso si fa complicato e ci vorrebbe molto tempo per spiegarlo e poi comunque, basata su esperienze personali, sarebbe una risposta soggettiva. Diciamo che già solo per il fatto di parlare attraverso la lingua dei segni una persona cosiddetta normodotata è esclusa in partenza. Loro hanno una propria lingua e vogliono esprimersi con quella. Ecco! Colgo l’occasione per chiarire che loro non sono sordo-muti. Loro vogliono essere chiamati solamente sordi; non sono muti, perché hanno una loro lingua e un loro modo di esprimersi; oltre al fatto che molti di loro per anni e anni hanno fatto logopedia.

Un’ultima cosa. Questo connubio con chitarra elettrica/ basso è un’idea nuova o è già stata affrontata negli anni passati?

“Per noi è un’idea nuova. Dunque negli anni passati noi usavamo solamente le percussioni, successivamente le abbiamo applicate a una base di musica sinfonica o hip hop a seconda dell’occasione. Quest’anno invece abbiamo pensato di fare tutto live, grazie anche alla collaborazione dell’educatrice Anna Simonella, napoletana verace che ci ha prestato la sua voce e di Marco Giuseppe di Marco, con cui lavoro in un’altra scuola di Roma: l’Einstein, che fa parte della rock band dell’istituto. Gli ho proposto di unirsi al nostro gruppo e lui ha accettato molto volentieri….”

Marco Giuseppe Di Marco

Marco Giuseppe Di Marco

Si volta per cercare qualcuno alle sue spalle e con un sorriso torna a rivolgersi a noi dicendo: “Se volete questo è Marco, è qui per un paio di domande…!”

Marco ci sorride timidamente, timoroso di quell’oggetto proteso davanti a lui per registrare ogni suo minimo respiro. Comincia l’ultima parte dell’intervista.

Che cosa si prova da musicisti abituati a un certo approccio con il pubblico e la musica a suonare con loro?

“Sicuramente è un approccio totalmente diverso al mondo della musica. Io suono da sempre con rock band e naturalmente è tutto più semplice, più immediato, diciamo. Lavorando con loro ho imparato ad apprezzare molti altri aspetti della musica, che prima mi erano oscuri; ho riflettuto molto spesso sulla situazione e mi sono stupito di quanta fiducia loro mi danno. Non sentono quello che suono, captano qualche vibrazione quando il volume è proprio altissimo, ma per il resto si tratta di un rapporto di fiducia estrema… apprezzo molto questo fatto…

Nella musica quali sono le tue intenzioni?

“Possibilmente portare avanti un progetto con la mia rock band e naturalmente continuare a collaborare con DDR!”

Avete inciso già qualcosa?

“Con la DDR?”

Sì.

“No, ancora no…”

Ma è in programma …?

“Si, senz’altro!” ci risponde con entusiasmo.

Soddisfatti delle risposte ricevute torniamo ad accomodarci sulle poltroncine rosso rubino e sprofondiamo ognuno nei propri pensieri, cercando di provare ancora una volta quel brivido di energia che in precedenza ci aveva percosso la schiena.

 

Bianca Viano

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