Ci sono un turco, un vietnamita e un giapponese…
Non è una barzelletta, ma l’inizio dell’appello che ogni giorno sento da quando ho iniziato il mio periodo di studio qui a Berlino. La mia nuova scuola si chiama “Gustav Heinemann Oberschule” e si trova talmente in periferia che, se esco dall’uscita di servizio e attraverso la strada, entro in un altro stato federale, ma in questo minuscolo e marginale angolo di Berlino, ho imparato molto di più della lingua tedesca (e qualche frase in arabo all’occorrenza), ma un vero e proprio modo di vedere le cose che non avrei mai sviluppato nella mia comfort zone italiana.
Inizio con l’aneddoto che impressiona di più quando mi capita di parlare con i miei amici in Italia: la mia scuola qui non ha bidelli. O meglio, non ha bidelli come li intendiamo noi.
Le persone pagate per pulire lavano solo i bagni e i vetri e, da quanto ho potuto constatare, molto saltuariamente. Ma allora chi pulisce i pavimenti, i banchi, le lavagne e le attrezzature? E chi rimuove i rifiuti dalle classi e dal prato del campus? Gli studenti.
Pensate che solo nella mia classe di matematica si contano 9 nazionalità diverse e ora figuratevi in tutta la scuola. Ebbene, questa variegata comunità si è rivelata essere una delle più coordinate e civilizzate che mi sia capitato di osservare. Un complicato sistema di turni assegna a ogni classe una precisa area da ripulire a rotazione ogni mese, e questo include anche camminare lungo tutto il perimetro del campus togliendo le cartacce dai cespugli e dal prato.
Ogni aula è provvista di un armadio che contiene una scopa, una paletta e detergenti vari e mi è già capitato più volte di arrivare a scuola in anticipo e di vedere dei miei compagni di classe intenti a spazzare il pavimento o a ripulire i banchi dalle scritte invece di giocare a Clash Royal sul telefono. Perché, tra l’altro, in tutta la scuola è proibito anche l’uso del cellulare.
Raccontata così potrebbe sembrare una scena irreale, utopica o peggio, tratta dalla serie televisiva Rai “Il Collegio”, ma garantisco personalmente che, una scuola senza cellulari e la cui pulizia è affidata talvolta anche a bambini dai 6 anni in su, funziona e anche alla grande.
All’inizio credevo che dopo il primo mese avrei visto accumularsi negli angoli delle classi gomitoli di polvere e mucchi di cartacce, ma ho capito subito che non sarebbe stato così quando è arrivato anche il mio turno di fare Ordnungsdienst (lett. “servizio d’ordine”). Nessuno butta una cartaccia per terra se sa che poi sarà lui stesso a doverla raccogliere. Così come nessuno scriverebbe il proprio nome (o quello del fidanzato di turno) con un indelebile sul proprio banco, dopo che l’insegnante di tedesco fa alzare nel mezzo della lezione gli studenti, mettendo loro in mano un secchio pieno di schiuma e un rotolo di scottex. Per questo tutti fanno la loro parte cercando di mantenere le aule pulite, in modo che i turni non occupino troppo tempo negli intervalli.
Alla fine, sembrerà scontato, ma ho capito che fare la propria parte per la collettività significa in fondo fare qualcosa per sé stessi. Potrei fare mille di questi esempi, ma sarebbe troppo facile unirmi al coro di voci che tutti i giorni ripetono che “in Italia non c’è senso civico” e “quello sì che è un paese che funziona”, piuttosto vorrei che questo racconto facesse riflettere un po’ più a lungo coloro che hanno ancora intenzione di scrivere oscenità sulle porte degli armadietti o dei bagni del secondo piano in via Bligny.
Detto questo non bisogna dimenticare che anche la mia scuola è piena di contraddizioni, a partire dal dress code: inesistente. Ovviamente se si considera che la scuola inizia il 5 agosto, non si può immaginare di porre dei limiti all’abbigliamento, anche se dopo aver visto i miei insegnanti con i sandali, forse avrei preferito regole un po’ più ferree al riguardo.
In ogni caso è stato davvero strano camminare per i corridoi e vedere ragazze in pantaloncini e gonne corte, e ragazzi in canottiera. Ogni volta mi sorprendevo e chiedevo incredula ai miei amici: “Ma gli insegnanti non dicono niente?”.
Mi ci è voluto poco per capire, che gli insegnanti non avrebbero detto niente, perché non c’é assolutamente nessun problema se una persona vuole mostrare qualche centimetro in più di braccia o gambe; questa cosa non disturba minimamente il regolare svolgimento delle lezioni. E per la prima volta ho provato l’ebbrezza di fare lezione indossando dei pantaloncini e, indovinate un po’, a nessuno è minimamente importato.
Giulia Vigoriti, corrispondente da Berlino