Quanto bisogna allontanarsi, per fare un viaggio? Quanto tempo serve? Quante valigie e quanti scali in aeroporti lontani? Quando i viaggi cambiano la vita, però, è il momento di ripartire quello in cui si tirano le somme. Ebbene, io sto per tornare a casa. Mi guardo indietro per cercare i passi già fatti e ripercorrerli con la mente. Rivedo il viaggio più straziante e più bello della mia vita, i compagni di carrozza di cinque anni pronti a incamminarsi verso binari diversi dal mio, su treni che portano in una città dietro l’angolo, oppure oltreoceano, sparsi nel mondo com’eravamo prima di trovarci.
Non c’è veramente un modo per salutarsi, per salutarvi. Solo pensieri poco chiari e privi di certezze sul ritorno, sul futuro, su quella che i professori, ex viaggiatori anche loro, chiamano “la vita”. Io non ho idea di cosa sia “la vita”. Ma so bene quanto si brami di conoscerla quando il liceo risponde “no” a tutte le richieste di svago o indipendenza. Si spera che passi in fretta, che ci si diplomi in un attimo e che non si debba più sbattere la testa contro le medie di fine anno, i pomeriggi in aula, le verifiche di maggio. Sembra entusiasmante immaginarsi ventenni, liberi di scegliere per sè, vero? Lo sembra, sì, ma più si prende coscienza di cosa significhi veramente, più fa paura. Il perché ce lo dice Aristotele: siamo animali politici, destinati alla comunità. E la nostra scuola è l’ambiente più vicino a una comunità in cui si possa passare del tempo.
Siamo chiusi nelle aule, ma insieme. Le stesse facce più o meno stravolte ci vedono crescere, ci infondono coraggio, ci insegnano a litigare fino a volersi uccidere. Riusciamo però a rivederci ogni giorno, ci sosteniamo in caso di insufficienze, rimandi, lutti o influenze intestinali. Viviamo in mezzo a persone che ci hanno visto ridere, piangere, bere per ore, cambiarci in spogliatoio, compiere gli anni, cambiare fidanzati e fidanzate, piangere ancora, prendere la patente, piangere per non averla presa.
Alla fine di tutto, non mancheranno gli elementi per capire di essere stati ingenui per quasi tutto il tempo, nel tentativo di aspettare la vita. La vita è qui, in ogni piccolo dettaglio di questo edificio e delle dinamiche al suo interno. Conflitti e amicizie, baci nei corridoi, litigi con i docenti. La vita si costruisce tra queste quattro mura, e a questo proposito voglio dirvi: grazie. Grazie, per aver aiutato a mettere in piedi le fondamenta di migliaia di persone. Grazie, per gli anni più stressanti, che mi faranno pensare che ci sia stato di peggio. Ma soprattutto grazie per il sorriso che rimarrà, per le volte, numerosissime, in cui penserò che ci sia stato di meglio, che ci sia stato il meglio.
Ai miei docenti, agli educatori e soprattutto ai miei compagni,
Diana Greco Ciobanu