27 gennaio 1945, l’esercito sovietico entra e libera il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. La storia della Shoah diventa di rilevanza mondiale e quello che è stato lo sterminio pianificato di un intero popolo scuote nel profondo i paesi del mondo. A partire da quel momento, a parte i negazionisti, che su questo tema non dovrebbero avere neanche il diritto di parola, la vox populi è stata concorde sul fatto che avvenimenti del genere non dovessero più ripetersi. Giusto? Corretto. Ecco allora il senso del Giorno della Memoria, a vent’anni dalla sua istituzione. Una giornata per non dimenticare.
Nel nostro liceo, lunedì 27 gennaio per qualcuno (fortunatamente non per tutti) è trascorso come un normalissimo giorno di inizio settimana, in maniera del tutto neutra, lasciando passare quasi in sordina una data simbolica così importante. È a dir poco curioso che non tutti ne abbiano parlato o che ci sia stato poco interesse a parlarne da parte di alcuni docenti, ed ancor più grave che non sia stato osservato nemmeno un minuto di silenzio, anche se non previsto formalmente. Certo i dati a disposizione sono frutto di un sondaggio veloce fatto su un gruppo social del liceo, e pertanto non così rappresentativi della totalità degli studenti. Ma anche nel caso in cui le testimonianze raccolte rappresentassero solo una stretta minoranza, meriterebbero lo stesso una riflessione, perché ciò che è emerso un po’ delude. Qualcuno potrebbe obiettare che gli studenti stessi non è che facciano a gara per affrontare determinati temi, o che la Shoah è sempre affrontata a scuola a prescindere dal 27 gennaio, ma farlo anche in questa data non sarebbe stato male. Non per forza organizzando laboratori, conferenze, workshop e affini, semplicemente con qualche parola per tenere viva la memoria di chi rischia di essere dimenticato per sempre. “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”, scriveva Santayana all’inizio del ‘900, in tempi non sospetti di totalitarismi. Oggi, quando invece i tempi sono sospetti di rigurgiti nazionalistici sempre più inquietanti, di scritte che ricompaiono vergognosamente di fronte a porte o portoni dietro i quali abitano ebrei, bisogna essere noi i primi a pretendere che ricorrenze del genere vengano osservate da tutti, perché “dimenticarsi” di farlo potrebbe significare che la coscienza collettiva sta virando, o ha già virato, verso altri orizzonti molto cupi.
Fabio Cannizzo