E’ la notte tra il 3 e il 4 Marzo, al Collatino, ventiduesimo quartiere di Roma.
L’ultima supplica di Luca Varani arriva forte e chiara alle orecchie dei suoi aggressori, che, però, avvolti in una nube di alcool e cocaina, non sembrano ascoltare.
I loro nomi sono Manuel Foffo e Marco Prato, gli stessi nomi che negli ultimi giorni hanno riempito le pagine dei giornali di tutt’Italia.
E’ la notte che segna la fine di una vita, e l’inizio di una storia. Una storia di pazzia, dolore e sangue. Una storia, che conta ancora troppi punti interrogativi.
Potrebbe sembrare la locandina di un film di Dario Argento, ma alla fine delle riprese il lettino resta sporco di sangue, la stanza silenziosa, Varani immobile.
Riavvolgendo la pellicola, tuttavia, e spostando indietro le lancette di cira 48 ore, ci si ritroverebbe all’inizio di ciò che Foffo e Prato hanno raccontato come uno sballo di due giorni, a base di cocaina, superalcolici e droghe sintetiche.
Da qui in poi, però, le versioni degli assassini divergono. E si passa da un desiderio carnale, ad un desiderio di sfida estrema.
Il tutto sarebbe iniziato, secondo le parole di Marco Prato, da un gioco erotico tra i due.
‹‹ Ma a lui non bastava›› racconta Prato, riferendosi all’amico ‹‹ voleva qualcosa di più forte, di violento››. Non trovando prostitute sulla strada, hanno deciso di convocare Varani, probabilmente ignaro che di quel gioco sarebbe stato solo la vittima.
«Marco mi ha detto che si prostituiva » conferma Foffo «Fra noi c’è stato quasi un tacito accordo. Mentre noi siamo rimasti vestiti, Luca si è denudato e poi ha bevuto quello che gli avevamo offerto. Poi è andato in bagno e si è sentito male. Marco lo ha aggredito e gli ha detto che sia io sia lui avevamo scelto che doveva morire. Ho preso io il martello e forse anche i due coltelli. Luca non è mai riuscito a resistere alle nostre violenze».
Stando a ciò che dice Manuel Foffo, l’omicidio sarebbe nato dalla voglia di scoprire la sensazione che si prova ad uccidere. Cosa si senta quando si è dall’altra parte, le mani sporche di sangue, un corpo inerme davanti a sé. Foffo lo ha scoperto in poco tempo, dopo che le mani di Prato si sono arrese sul collo della vittima, e tra colpi di martello e coltellate, una lama alla gola lo ha fatto tacere per sempre.
‹‹Lui si lamentava» racconta ancora Prato ‹‹Non voglio morire. E allora Manuel gli ha tagliato le corde vocali per farlo stare zitto».
Dopo una notte passata sul cadavere, e il tentato suicidio di Prato, le facce dei tre giovani sono su tutti i giornali. I loro nomi riecheggiano tra le casse dei televisori e le autoradio.
E mentre le proteste si scatenano contro i genitori dei due giovani carnefici, coinvolgendo anche i mass media e la stampa, i genitori della vittima, distrutti dal dolore per la perdita del figlio, reclamano a gran voce la pena di morte in nome della giustizia, una giustizia che, però, ha più le sembianze di una vendetta.
Tra i misteri che ancora porta con sé questa storia, le lacrime degli amici e una sete di giustizia e vendetta che non sarà mai pienamente soddisfatta, una sola speranza deve farsi strada tra le menti d’Italia. Non la morte degli assassini, non la loro distruzione sociale.
La speranza che ovunque si troveranno, non importa se sarà una cella o un letto d’ospedale, le loro mani non perdano mai il colore del sangue.
E che quelle grida riecheggino sempre nelle loro menti, ovunque andranno.
L’ultima supplica, l’ultimo suono di una vita che non aveva ragione di finire in quel modo.
‹‹ Non voglio morire ››
‹‹ Non voglio morire ››
‹‹ Non voglio morire ››
Emma Barraco (3B)