Se si curiosa nella storia della Nuova Zelanda è molto probabile rimanere stupiti del progresso raggiunto da questo piccolo paese nel Pacifico, decenni prima di ogni altra nazione.Purtroppo, di recente, gli sviluppi politici e i cambiamenti nel sistema dell’istruzione hanno modificato la situazione e messo a rischio più di due secoli e mezzo di battaglie per la giustizia sociale.
Nel 1893 le donne ottennero per la prima volta il diritto di voto e i Neozelandesi dimostrarono di essere all’avanguardia sui diritti umani. Questo è ancora più sorprendente se si tiene conto del fatto che la Nuova Zelanda è una delle nazioni più giovani sulla faccia della Terra. Tutto incominciò nel 1840 quando, dopo circa un secolo di lotte, gli Inglesi colonizzatori e i Maori, il popolo autoctono, firmarono un trattato nell’area di Waitangi, nel nord del paese. Si impegnarono a vivere in pace e armonia, ed entrambi ne trassero immediati vantaggi. Gli Inglesi ebbero libero accesso ad un territorio grande quanto l’Italia, disabitato e pieno di risorse; i Maori ebbero la possibilità di utilizzare le avanzate tecnologie europee.Insieme all’industria, gli Inglesi esportarono anche l’istruzione, diffusa principalmente da preti e missionari provenienti da Italia e Francia. Questo rapidissimo sviluppo avrebbe potuto danneggiare terribilmente la natura, come era successo in Europa con la Rivoluzione Industriale, ma grazie alla presenza dei Maori – i cui culti mistico-religiosi sono basati sul rapporto uomo-natura – questo non avvenne. Quando a metà del secolo scorso venne posto il problema dell’energia nucleare, la Nuova Zelanda si oppose accanitamente. Non solo non costruì mai centrali atomiche, ma si pose a guardia di tutte le isole del Pacifico meridionale, utilizzate da Stati Uniti e Francia per testare nuove armi. Arrivò persino a negare nel 1987 l’accesso in acque territoriali a navi e sottomarini atomici, e questo le procurò potenti nemici, ma le permise di diventare la prima nazione completamente “nuclear free”.
L’attuale battaglia che il governo sta combattendo riguarda le emissioni di CO2: riuscirà l’intera nazione a diventare completamente “emission free” entro il 2050? Nel 2000 la risposta più probabile sarebbe stato il sì, ma qualcosa è cambiato nel frattempo. Nel 2002 è stato introdotto l’ NCEA school system, un sistema scolastico completamente nuovo. Gli studenti non ascoltano più le spiegazioni dei docenti né studiano interminabili pagine di teoria, ma “vengono guidati ad apprendere le nozioni da sé”. I libri scolastici, eliminati per più della metà delle materie, sono composti praticamente solo da esercizi disposti in ordine di difficoltà. Ognuno di questi introduce un concetto nuovo, spiegato solo per metà, che lo studente deve comprendere ed interiorizzare. Il risultato? Gli studenti brillanti procedono molto velocemente (ma in modo comunque molto più lento di una qualsiasi classe italiana), mentre quelli meno bravi necessitano delle spiegazioni e dell’aiuto dell’insegnante. Tralasciando la velocità con cui si impara, si presenta però un nuovo problema: ogni studente deve affrontare solo sei materie, e per passare l’anno ha bisogno di sessanta crediti. Questi crediti possono essere ottenuti passando verifiche o esami a fine anno, ma il fatto sbalorditivo è che ogni materia offra la possibilità di guadagnare almeno 20 crediti! Ciò significa che ogni studente deve scegliere dal programma annuale almeno la metà degli argomenti, e se passa quelli può tralasciare tutti gli altri. Ovviamente se lo studente è motivato e vuole lavorare di più può farlo, ma la maggior parte degli adolescenti preferisce fare il minimo indispensabile. Questo cambiamento ha portato ad un impoverimento del bagaglio culturale dei giovani neozelandesi: ma, come spesso accade, l’abbassamento del livello d’istruzione porta con sé egoismo, pregiudizio e scarsa apertura mentale.
Le reazioni della società a questo cambiamento sono di entusiastica approvazione da parte dei giovani e di preoccupazione da parte degli adulti, questo non deve stupire. I giovani apprezzano questo metodo di insegnamento poiché non hanno né studio né compiti da fare. Non sono neanche preoccupati di non avere abbastanza qualifiche per trovare un lavoro dato che i posti non mancano. Quasi metà dei ragazzi al di sopra dei sedici anni lavora part-time dopo scuola per guadagnare qualche soldo. Gli adulti, invece, sono preoccupati. Hanno visto con i propri occhi il salto generazionale e comprendono che, se continua così, la Nuova Zelanda passerà dalla sua posizione attuale ad “un gradino sotto” il resto del mondo. I suoi cittadini non riusciranno a reggere il confronto con i cittadini stranieri. Questo non è che uno dei tanti effetti negativi che il nuovo clima politico ha generato. Nelle ultime elezioni ha esordito un nuovo partito, il New Zealand First. Il nome dice tutto sui suoi piani politici. Per far fronte ai problemi economici sorti con la crisi economica che dal 2008 ha colpito tutto il mondo, e in particolare gli strati più deboli della popolazione, i suoi rappresentanti hanno intenzione di porre un freno all’immigrazione e proibire agli stranieri di comprare immobili: insomma, isolare la nazione dal resto del mondo. Come se adesso avessero troppi immigrati e troppi contatti con il continente, che dista 9000 km. Questa strategia potrebbe risolvere tutti i problemi interni, ma cosa ne sarebbe dell’immagine che la Nuova Zelanda ha nel resto del mondo? E considerando l’aspetto umanitario, è giusto negare ad emigranti il diritto di entrare nel paese, che per di più è tutt’altro che sovrappopolato?
Have a look at the world around you, Kiwis, nowadays and back in the past. You’ll see that we all live on the same planet, whether you want it or not.
Davide Maletto