Luglio 2019. Olga Misik, appena diciassettenne, si unisce ad alcuni cortei organizzati a Mosca dai cittadini russi per chiedere elezioni libere: non può ancora immaginare che di lì a poco, attraverso un suo semplice gesto, diverrà simbolo della lotta anti–putiniana.
Nel 2019 Putin si trova già al suo quarto mandato come presidente della Federazione Russa; l’8 settembre si dovrebbero tenere le elezioni comunali, ma durante l’estate le piazze della capitale diventano il centro di numerose manifestazioni. A fronte della decisione del governo di escludere la maggior parte dei canditati dell’opposizione – giustificata con una presunta insufficienza delle firme che avrebbero dovuto accompagnare le liste elettorali- i cittadini decidono di riunirsi e protestare.
Fra i principali leader delle rivolte c’è Aleksej Navalnyj, attivista e politico molto discusso ancora in tempi recenti (specialmente in seguito all’avvelenamento, che nei mesi scorsi gli è costato 32 giorni di ricovero in un ospedale di Berlino, di cui 24 in terapia intensiva): ricoprire questo ruolo lo porta ad essere arrestato ed incarcerato, con l’accusa di aver organizzato manifestazioni non autorizzate. Le proteste si svolgono comunque ed il 27 luglio anche Olga Misik si trova a Mosca.
Olga ha appena terminato il liceo in una piccola cittadina a sud della capitale e ha intenzione di iscriversi alla facoltà di giornalismo. I suoi genitori sono aperti sostenitori del presidente: hanno vissuto la situazione difficilissima del baratro post sovietico e perciò vedono Putin come un salvatore della patria.
La ragazza legge, si informa, spinta dalla curiosità di conoscere meglio il mondo che la circonda. Scopre la figura di Navalnyj e, nonostante un’iniziale diffidenza, in breve supera i propri pregiudizi e si convince che le cause che porta avanti siano giuste. Desidera dare un contributo concreto, vuole lottare per la difesa dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, che ormai vengono negati alla popolazione russa da troppo tempo.
Il 27 luglio Mosca è presidiata dalle truppe antisommossa. A fine giornata diverse ONG parleranno di almeno 800 persone fermate dalle autorità, mentre per la polizia saranno meno di 300. Le persone scese in piazza sono giovani, giovanissime, tanti di loro non hanno nemmeno 18 anni. Olga è una di queste: pur di esserci, ha viaggiato per quasi 100 km con alcuni amici.
Le forze dell’ordine indossano i giubbotti antiproiettili; anche Olga ne ha uno, ma è finto. Ad un certo punto si siede a terra e inizia a leggere alcuni articoli della Costituzione, la stessa su cui Putin ha giurato nel 2000, nel 2004, nel 2012 e nel 2018. Nelle strade accanto, i tumulti continuano, gli agenti si fanno sempre più violenti, una donna riporta una ferita grave alla testa. Intanto, Olga legge ad alta voce l’articolo 3, il 27 e il 31. E tutto attorno a lei si blocca. Letteralmente. Gli agenti che la circondano si scambiano sguardi confusi, tutti tacciono. Gli articoli letti sono quelli in cui si afferma che il popolo è la principale fonte del potere; che tutti godono del diritto di libertà di parola; che il popolo è libero di riunirsi in assemblea.
Per noi che abitiamo “l’Occidente”, il rispetto di questi diritti da parte dei vari governi è tanto essenziale, quanto (fortunatamente) normale e scontato. In Russia questo, invece, non lo è mai stato, nemmeno quando il documento della Costituzione era appena stato fatto redigere da Eltsin sui modelli statunitense e francese.
Nel momento in cui la ragazza smette di leggere, le forze dell’ordine improvvisamente si rianimano, le si avvicinano, iniziano a strattonarla, per poi sollevarla e trascinarla via. Lei prova a opporre resistenza, si impunta, ma invano. Da quel giorno la lotta di Olga non si fermerà più.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 6 marzo scorso, le era stato chiesto se credesse e se sperasse in un possibile cambiamento nel suo Paese. Nonostante alla prima domanda avesse risposto con tono piuttosto pessimistico, ha in seguito spiegato che in ogni caso lei continuava a sognare di poter vivere in una Russia diversa un giorno, forse proprio grazie alla forza d’animo che non può che caratterizzare solo i giovani come lei, che spesso non sono ancora capaci di osservare il mondo in maniera disincantata.
In quei giorni ricevette un’altra delle innumerevoli accuse pretestuose accumulate nell’ultimo anno e mezzo: questa volta accusavano lei ed alcuni attivisti di aver partecipato alla creazione di un gruppo terroristico. Compiere diciott’anni aveva solo reso la possibilità di perseguirla penalmente più semplice e immediata.
Adesso Olga vive praticamente barricata in casa, non le è più permesso frequentare l’università, sente ancora la madre, ma ha interrotto i rapporti col padre, che non la supporta da nessun punto di vista. In un’intervista più recente, pubblicata il 23 ottobre su La Stampa, nelle parole di Olga non c’è che rassegnazione. Quando le viene chiesto se ha paura, dice di sì, dichiarando poi che ormai non le è rimasto nient’altro. Da luglio 2019 non sono trascorsi nemmeno due anni. La Russia ha impiegato meno di due anni per distruggere la vita di una giovane, non lasciandole nulla, se non la paura. È possibile avere appena diciott’anni e non essere più in grado di vedere davanti a sé la speranza di un futuro migliore? Certo, la vita può essere ingiusta e ognuno vive esperienze completamente differenti, che tendenzialmente ci avvicinano in maniera progressiva a quel disincanto tipico dell’età adulta. Come è possibile però che sia lo Stato a voler imprigionare le persone a questo scenario? Come può essere giusto crescere in un contesto in cui è necessario scegliere fra la paura e l’accettazione di quello che fondamentalmente, che lo si definisca tale o meno, è un regime? O peggio ancora, un contesto in cui al posto dell’accettazione, si sceglie l’illusione che in fondo il sistema sia persino giusto?
Potrebbe sembrare un’osservazione ingenua, ma davvero è difficile spiegarsi come mai non si possa fare nulla, come si possa voltare lo sguardo dall’altra parte, dopo essere venuti a conoscenza di queste storie. Il mondo è estremamente complicato, è vero. Però non possiamo che sentirci tristi e molto fortunati, leggendo la storia di Olga; e pensare che forse diamo per scontate troppe cose.
Virginia Giaquinta