Gli incontri più belli sono sempre quelli verso i quali ci si dirige impreparati. Niente ricerche per far bella figura, niente dati raccolti a caso su Internet per mostrare interesse. Lasciare semplicemente che l’ospite si presenti da sé. Stare lì, davanti a lui ad ascoltarlo: non è già questa la miglior forma di interessamento ed attenzione verso qualcuno che ha qualcosa da dire? Così, non particolarmente informata riguardo all’identità dell’interlocutore, in una soleggiata mattina di Ottobre, la Redazione dell’UmberTimes si è recata all’incontro con Mimmo Candito in piazza Castello.
Fra accertamenti sulla corretta pronuncia del cognome (Càndito, non Candìto) e una breve presentazione da parte della ragazza che moderava l’evento (evidentemente consapevole dell’alone di mistero che ai nostri occhi avvolgeva l’ospite), è iniziato l’incontro col presidente italiano di Reporters Sans Frontières, reporter di guerra per La Stampa e docente universitario presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Torino. Dopo due parole autobiografiche per orientare i ragazzi, Candito ha invitato il pubblico a guidare l’intervista, per far sì che si instaurasse un dialogo e non un monologo; l’unica condizione l’ha posta lui stesso : “Voglio domande spregiudicate”. Giustamente. Ormai il tempo per parlare seriamente e in maniera fruttuosa con persone che possono effettivamente darci dei consigli e insegnarci qualcosa è talmente poco che diventa necessario non disperderlo in discorsi vani.
Già, ma che domande porre? Si rischia di rimanere bloccati davanti ad una richiesta così esplicita, con la paura di cadere nel banale, senza avere dei quesiti precisi in testa. Alla fine, fra universitari e liceali, le domande sono venute fuori: cosa le hanno regalato i suoi viaggi in tutto il mondo, quali forme ha la censura che oggi affligge la stampa italiana e come si può combattere, in cosa consiste la manipolazione delle informazioni, quali consigli si possono dare a degli aspiranti giornalisti…
Per ogni risposta un’esperienza diversa, consigli, riflessioni, racconti di una vita passata a cercare di raccontare verità scomode da gestire e brutte da sentire, ma che rappresentano pur sempre la realtà, e come tali vanno conosciute e riconosciute. Compito del reporter portarle a galla, anche a costo di rischiare vita e lavoro. Consigli per i giovani tantissimi, tutti frutto delle proprie esperienze nel tentativo di far carriera in un mondo dove esprimere le proprie idee diventa sempre più rischioso e complicato. Con un lungo filo logico siamo andati a toccare argomenti delicati, dalla censura giornalistica attuata sui territori di guerra perché l’opinione non possa prendere posizione, alla concezione odierna di libertà di stampa, spesso fraintesa come interesse politico.
L’attenzione generale è rimasta viva e coinvolta per tutte e due le ore d’incontro, salvo qualche ragazzo annoiato nelle ultime file. Unico ostacolo alla piacevole ed interessante mattinata è stato lo stand dove si è svolto l’incontro, progettato come una serra: un enorme tendone trasparente che, oltre a tenere al caldo i suoi occupanti, li esponeva alla luce riflessa del sole provocando occhi arrossati, nuche bollenti e un live senso di stordimento allo scadere dei novanta minuti.
Tuttavia il tempo è volato, anzi, è stato fin troppo poco. Sulla strada del ritorno in via Garibaldi fra lavoratori indaffarati e persone di corsa, un gruppo di ragazzi discuteva e rifletteva sul giornalismo o su quel che ne rimane, con occhio più decisamente più critico rispetto all’andata, quando guardavano serenamente le vetrine col pensiero rivolto al misterioso giornalista.
Eugenia Beccalli (3F)
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