Nel marasma elettorale che da mesi domina la scena politica italiana non è facile orientarsi. I titoli dei quotidiani urlano nomi e riforme, ma i politici gridano più forte: si fa a gara a chi promette di più, a chi cambia il Paese e ci si scontra in una battaglia senza esclusione di colpi dove screditare è l’arma vincente. Nei loro programmi elettorali infarciti di promesse non sanno più cosa inventarsi e quando viene meno la fantasia volano gli insulti. Truffatori, massoni e scrocconi, attacca Renzi. Prendete i soldi da Mafia Capitale, risponde Di Maio. Insomma, messa all’asta la politica, chi fa l’offerta (o l’insulto) migliore si accaparra la poltrona in Parlamento. E gli Italiani? Si guardano intorno spaesati. Cercano di farsi strada tra individualismo e delusione, esasperati e rassegnati dopo l’ennesima riforma elettorale.
La nota più dolente della campagna è proprio il Rosatellum, la nuova legge elettorale che tra le tante novità non prevede il voto disgiunto fra candidato del collegio uninominale e lista che lo sostiene. Votando una lista, infatti, si vota automaticamente anche il candidato, mentre se avviene il contrario il voto viene distribuito tra le liste. In altre parole, che lo si scelga o meno, il candidato otterrà comunque un voto. In queste elezioni si parla di scelte e lo sanno bene i candidati premier di quest’anno, che da settimane si battono al fianco della propria coalizione in vista del fatidico 4 marzo. Secondo i sondaggi, saranno centrosinistra, centrodestra e Movimento 5 stelle a contendersi lo scettro domenica prossima.
Il centrosinistra scende in campo guidato nientemeno che dall’ex-premier Matteo Renzi, affiancato dalla lista Insieme, dai centristi di Civica Popolare di Beatrice Lorenzin e Pier Ferdinando Casini e da Emma Bonino con +Europa. “100 piccoli passi avanti per l’Italia”, così Matteo Renzi presenta il programma elettorale proposto dalla coalizione, che va da una riforma fiscale, la cosiddetta “patente fiscale”, ad un “bonus affitto” di 150 euro per sostenere i ragazzi sotto i 30 anni. Le quarantadue pagine del programma del PD trasudano novità e promettono l’ennesima svolta per un Paese dilaniato da un debito pubblico di oltre duemila miliardi di euro. Il punto debole del partito di Renzi? Matteo Renzi. Accusato di essere un trasformista e un “traffichino”, l’ex premier si è guadagnato in poco tempo la disapprovazione della stragrande maggioranza degli Italiani: lo smacco del referendum costituzionale del 2016 e lo scandalo della Banca Etruria (e non solo) lo hanno fatto scendere ad un misero 23% di consenso personale. “Metteremo sulle poltrone di comando i più bravi in modo da far ripartire il paese. L’Italia con me sarà un posto dove trovi lavoro se conosci qualcosa, non se conosci qualcuno!” prometteva Renzi nel lontano 2012. Due anni dopo l’amico Ernesto Ruffini diventava presidente di Equitalia, il commercialista Marco Seracini entrava nel collegio sindacale dell’Eni e nel 2016 l’ex-capo dei vigili urbani di Firenze Antonella Manzione veniva promossa consigliere di Stato. E come dimenticare Maria Elena Boschi? Dopo averla scelta come Ministro delle Riforme costituzionali, Renzi ha insistito perché facesse parte del governo Gentiloni ed è tuttora candidata in un collegio uninominale e 5 liste. Insomma, la lista del cosiddetto “Giglio magico” di Matteo è bella lunga. E adesso il leader politico meno amato d’Italia guida una coalizione.
Dall’altro lato del palcoscenico, schierati in prima linea, il candidato premier Matteo Salvini, Giorgia Meloni e il redivivo Silvio Berlusconi, nella sua settima campagna elettorale. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si presentano alle elezioni con un programma da 100 miliardi di euro che suscita non poche critiche. Tra i dieci punti stilati dalla Lega rientrano l’abolizione dell’odiata legge Fornero, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica; la chiusura di Equitalia e l’introduzione della Flat tax, un’unica aliquota fiscale, ma soprattutto la politica anti-Europa e le misure previste contro i migranti. “Dire che in Italia c’è spazio per tutti è un errore perché porta dei problemi” afferma il candidato premier Matteo Salvini, che definisce il fenomeno dell’immigrazione un’“invasione finanziata, voluta, organizzata” e un “tentativo di genocidio”. La soluzione? Blocco degli sbarchi e rimpatrio immediato di tutti i clandestini. Quella di Salvini è un’Italia dove non c’è spazio per tutti, dove accogliere i migranti non è un gesto di solidarietà bensì un reato e soprattutto dove serve una “pulizia etnica”. Accusato di essere fascista e xenofobo, Salvini è stato anche ritenuto da qualcuno il “mandante morale” dei tragici fatti di Macerata. Il giornalista Roberto Saviano ha definito le sue parole “un pericolo mortale per la tenuta democratica”. Salvini sarà anche oggetto delle accuse più pesanti, ma secondo un sondaggio del Corriere della sera rimane comunque il leader con il più alto consenso personale: il 31% degli Italiani lo sostiene, mentre il 59% esprime un giudizio negativo. Ottantadue anni, parrucchino e zigomi nuovi di zecca, al fianco di Salvini scende in campo come leader di Forza Italia l’ex premier Silvio Berlusconi, che afferma “Io sono ancora qui come nel ‘94”. In effetti le battute di pessimo gusto e quel sorriso sornione sono diventati un’abitudine sulla scena politica dai tempi di Tangentopoli. Peccato, però, che questa volta sulla fedina penale del Cavaliere gravi una nuova parola, ineleggibilità. Condannato per frode fiscale nel 2013, Berlusconi attende il verdetto della Corte europea dei diritti dell’uomo: saranno i giudici a decidere se la legge Anticorruzione, entrata in vigore dopo i fatti, può essere considerata valida. Il candidato incandidabile riconquista così per ora il palcoscenico politico.
Ultimo concorrente in gara è il nuovo volto del Movimento 5 stelle, il giovane Luigi Di Maio. L’erede di Grillo si presenta alle elezioni politiche 2018 con un programma elettorale da 75 miliardi di euro. I cosiddetti “20 punti per la qualità della vita degli italiani” vanno dal drastico taglio di 400 “leggi inutili” al reddito di cittadinanza, storico cavallo di battaglia, e promuovono il superamento della Legge Fornero e della Buona Scuola. Al fianco del leader un team di “super competenti”: ricercatori, docenti, intellettuali e dottori provenienti da tutta Italia si sono fatti avanti per affiancarlo nella nuova legislatura. “Il nostro obiettivo”, spiega Di Maio, “è dare all’Italia il miglior gruppo parlamentare che abbia mai avuto”. Questo, però, non ha risparmiato il candidato premier dalle critiche: vicepresidente della Camera a soli 27 anni, non ha conseguito una laurea e, per molti, incompetente.
“Un nome una garanzia” si suol dire, ma per gli Italiani né Di Maio, né Salvini né Renzi sembrano essere alternative valide e dove non ci sono alternative il rischio di non andare a votare diventa sempre più tangibile. È proprio questo l’effetto collaterale del deficit di rappresentanza, la malattia che da più di vent’anni affligge la politica italiana. Le conseguenze? Esasperazione, sfiducia e rassegnazione, ma soprattutto un progressivo disinteresse verso la politica tramandato di generazione in generazione. Forse è proprio per questo che ci dimentichiamo troppo facilmente che il voto è una scelta individuale, ma ha un fine collettivo. Si vota per il Paese e il Paese non si governa da solo. Non votare non significa soltanto rifiutare la propria identità di cittadino, ma anche contribuire a quel già ingente senso di sfiducia che si sta diffondendo in Italia. Ecco perché l’appello più grande ai cittadini non dovrebbe essere chi votare, ma quello di andare a votare. Di assumersi ognuno la propria responsabilità, senza se e senza ma.
Elena Catalanotto