Paura di cambiare, paura di crescere

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Madama Butterfly

"Madama Butterfly" di Carlotta Zago

Smarrimento, confusione, senso di perdita … sensazioni tanto comuni quanto note e ricorrenti nell’esistenza umana. A chi infatti non è mai capitato di sentirsi spaesato o di provare quel senso di disperazione quando tutto sembra essere perduto e non resta “che piangere le nostre sciagure”? Non si tratta solo di personaggi della letteratura un po’ depressi e “sfigati” ma sono esperienze autentiche e reali che segnano, nel bene e nel male il nostro cammino. Momenti in cui tutte le certezze che ci infondono tanta serenità e stabilità sembrano tutto ad un tratto crollare lasciandoci in un vertice di dubbi e perplessità e facendoci assaggiare quel sapore amaro della “nascita, angoscia e paura di un tremendo rinnovamento”. Sì, cambiare fa paura, è un salto nel vuoto, verso l’ignoto ovvero mancanza totale di sicurezze e conoscenza. Eppure, sembra un passaggio necessario per crescere, per allargare i propri orizzonti. “La perplessità è l’inizio della conoscenza” scrive Kahlil Gibran, “la conoscenza attraverso il dolore” scriverebbe Eschilo. La nostra condizione sulla terra è caratterizzata da una costante precarietà, nulla  rimane così com’è ma muta e si evolve e noi, un po’ perché siamo costretti, forzati a farlo, ed un po’ perché fa parte della nostra natura siamo i protagonisti e le vittime di questo continuo vagare. “Siamo tutti migranti” afferma la scrittrice brasiliana Christina de Caldas Brito, tutti destinati a viaggiare di terra in terra fino a raggiungere la destinazione finale, quel porto che a tanti prima di noi ha acceso i suoi lumi, l’unico ostacolo che dopo tante tempeste affrontate, l’uomo non potrà mai superare, ed accettare, la morte. E dunque se la vita è un incessante mutamento, chi non ha coraggio di scoprire e di cambiare non ha nemmeno coraggio di vivere. Per quanto possa essere triste dire addio ai “monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo”, abbandonare la propria terra natia, e la propria famiglia, Lucia è obbligata a farlo e lasciare Renzo affinché egli, tramite il distacco e nuove esperienze potrà capire quale sia il giusto comportamento a cui attenersi (giusto secondo Manzoni ovviamente) e maturare una nuova coscienza; così come Emil Sinclair, il protagonista del romanzo di Herman Hesse si rende conto che solo abbattendo quei “pilastri che avevano sorretto “la sua” vita infantile” potrà “diventare se stesso” un uomo adulto. L’iniziale trauma del cambiamento può invece rivelarsi una piacevole sorpresa ed in ogni caso aggiunger un “tassello” in più a quel mosaico infinito che rappresenta la nostra esperienza personale. Certo è un rischio e porta inevitabilmente con sé quel minimo indispensabile di sofferenza che sempre ci accompagna nella “migrazione”; ma, allo stesso tempo, così come per istinto e spirito di sopravvivenza, la scimmia, aggrappata ad un ramo, “sa benissimo che non precipiterà nel vuoto” per “aggrapparsi a un altro ramo che ha intravisto tra il fogliame”, il migrante sa dove si trova esattamente il ramo che lo aspetta, “ed è questo qualcosa che lo spinge al salto”.   

 

Carlotta Zago (5C)

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